Visco alla guerra Popolare
Visi scuri e occhi dominati da orgoglio frammisto a desiderio di rivalsa tra i «Signori» delle Popolari, seduti in prima fila nel salone dell’Eur per la riunione dell’Abi numero 53, quella che ha visto il debutto sul palco del presidente Antonio Patuelli per la sua prima relazione annuale. Il banchiere, con un trascorso in Parlamento nelle fila del Partito Liberale ha tenuto un discorso perlopiù istituzionale, ripercorrendo i nodi anticipati martedì scorso dal Giornale. A imbracciare il bazooka ci ha pensato però il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, insistendo sul fatto che le Popolari di dimensioni maggiori, debbono rottamare gli assetti cooperativi su cui si reggono da oltre un secolo e trasformarsi in società per azioni, anche per affrontare a testa alta il prossimo appuntamento con la supervisione unica europea.
Un modo per dire che la riforma delle cooperative varata dal Parlamento lo scorso anno dopo una difficile gestazione, è perlomeno insufficiente se osservata dalle finestre di Palazzo Koch. La Spa è «il modello più coerente», «in grado di favorire l’apporto di capitale e la trasparenza dell’assetto proprietario e della governance», ha insistito Visco: «Tanto più marcate e ingiustificate» saranno le differenze con le altre banche «tanto più repentina potrà essere la richiesta di cambiamento» ha avvisato Bankitalia. Un aut aut, in cui si sente chiaro il riferimento alla storia di Bipiemme, dove il presidente Andrea Bonomi si è visto di recente affossare sul nascere dalla base sociale il progetto di trasformazione in ” spa ibrida”. Visco aveva pungolato il mondo delle mutue al cambiamento anche poche settimane fa nelle Considerazioni finali, ma ora la Vigilanza torna implicitamente a chiedere com forza di cambiarsi d’abito anche al Banco Popolare e a Ubi Banca, dove la scorsa primavera il vertice ha faticato non poco a contenere gli attacchi della falange organizzata da Giorgio Jannone e a preservare la linea della continuità. Forse anche per questo motivo, e per la storica battaglia di Gianpiero Samorì contro la gestione del gruppo Bper, sono ormai anche le cooperative a pensare come cambiare gli equilibri di governance. In particolare alcuni banchieri del comparto cullano l’idea di impastare una legge che ponga una barriera al libro soci, vincolandone l’ingresso all’acquisto di un pacchetto minimo di azioni, per un controvalore equivalente al costo di una utilitaria: 8-10mila euro. Il problema, però, resta capire quale è il vero obiettivo di Bankitalia, visto che ben difficilmente Deputati e Senatori voteranno provvedimenti contro il loro stesso bacino elettorale. Molto più semplice, se ogni percorso di evoluzione delle cooperative fosse stoppato, sarebbe quindi il ricorso alla decretazione d’urgenza.
Le preoccupazioni della Vigilanza sono puntate su Bipiemme, dove ora Bonomi sta studiando una modifica che vincoli le decisioni del Consiglio di sorveglianza alla logica delle maggioranze qualificate, così da dare un maggiore peso specifico ai fondi e agli investitori istituzionali rispetto al coacervo dei dipendenti-soci da sempre dominante in Piazza Meda. A fine mese proprio Bpm attende peraltro anche la relazione di Bankitalia con i risultati, che si prospettano severi, dell’ispezione.
«È sintomatico che Visco rimetta in discussione il principio mutualistico previsto dalla Costituzione e percepito come un vincolo alla possibilità di gestire a proprio piacimento un’azienda bancaria», replica però la segreteria nazionale della Fabi guidata da Lando Maria Sileoni, il primo sindacato del settore con oltre 100mila iscritti. «La trasformazione delle Popolari in spa renderebbe queste banche più appetibili alla speculazione, rendendole vulnerabili all’assalto dei capitali stranieri».
Bankitalia ha però riaperto il conflitto anche sul fronte dei costi dell’intero sistema bancario che, oltre ai 15mila esodati, ha comunque già deciso di prepensionare 19mila addetti da qui al 2020 attraverso il Fondo esuberi, l’ammortizzatore sociale del settore. Ma i bilanci delle banche soffrono, schiacciati dalla rehole di Basilea e dal peso di 130 miliardi di sofferenze lasciate dalla difficoltà con cui famiglie e imprese stanno cercando di rispettare le rate di mutui o prestiti spesso ricevuti negli anni in cui gli istituti di credito finanziavano con generosità la clientela, nel tentativo di centrare gli ambiziosi obiettivi contenuti nei piani industriali e reggere alle aspettative della Borsa.
Al netto delle partite straordinarie, come le svalutazioni o gli avviamenti, il Roe medio delle prime 39 banche della Penisola, è infatti ormai ridotto a valori da prefisso telefonico. Visco ha così spronato gli istituti a mettere in atto misure, anche di «natura temporanea», finalizzate a ridurre «in maniera significativa» le spese del personale, così da livellarlo con il livello dei ricavi falciati dalla crisi. Anche in questo caso è stata sferzante la replica del fronte sindacale, che giudica messa in pericolo la stessa idea di “concertazione”. Ai vertici dell’Abi c’è stato «un cambio di rotta, avvallato da Bankitalia» che si è risolto in un «attacco chiaro ai diritti dei lavoratori», ha restituito il colpo la Fabi, sottolineando come nella parole del governatore sia invece mancata «una riflessione critica sugli ancora troppo alti stipendi dei manager, sul business delle consulenze incrociate e sull’adeguatezza dell’attività di vigilanza esercitata da Bankitalia».
La campagna contro i super-compensi vede impegnata in prima linea la Fiba-Cisl di Giulio Romani che ha avviato un’operazione a tappeto, sparpagliando nelle principali città italiane banchetti e camper chiamati a raccolta firme a sostegno di un apposito disegno di Legge. La Fiba giunge inoltre a definire «irritante» una relazione, «contraddistinta dall’assenza di qualunque proposta strategica e la totale rimozione di autocritica del sistema». «Bankitalia, anzichè intervenire, come potrebbe, sulle remunerazioni dei manager, si sofferma ancora sulla pretesa di ridurre il costo contrattuale dei lavoratori, ignorando che esso è già ridotto all’osso». Risposta corale anche da parte della Uilca-Uil di Massimo Masi, che stigmatizza come nella propria analisi Visco non consideri i sacrifici già sostenuti dai 300mila bancari italiani (anche con i contratti di solidarietà) e da parte della Fisac-Cgil di Agostino Megale: «E’ tempo di dire basta alla logica della riduzione dei costi e del taglio dell’occupazione».
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