Liberali all’amatriciana
Potevamo concludere l’anno con le solite previsioni sulle asset class da privilegiare nel 2017 (e comunque a questo link ci sono i suggerimenti di Franklin Templeton per gli investimenti multi-asset). Dopo quanto successo nelle ultime settimane in ambito bancario (Mps) e radiotelevisivo (Mediaset), questa ci pare l’occasione giusta per parlare di liberalismo.
Non sono pochi gli esperti della materia che negli ultimi giorni hanno espresso la propria personale visione del mondo relativamente a questi ambiti. Sul Giornale, Luigi Zingales della Chicago Booth ci ha spiegato che non è un problema l’intervento pubblico nel comparto bancario, perché si tratta di una forma di investimento che rilancia l’economia e da cui la collettività può guadagnare (purché ovviamente si apra un’inchiesta sulle cause del disastro), Contestualmente sulla Stampa, Alberto Mingardi dell’Istituto Bruno Leoni (think tank liberale e liberista) ha messo in guardia dalle statalizzazioni che, generalmente, costituiscono un pretesto, oltreché uno spreco di danaro pubblico, per salvaguardare le imprese inefficienti che da sole non riuscirebbero a stare sul mercato.
Rispetto a due voci autorevoli, noi ci facciamo piccini piccini. Ma vorremmo, tuttavia, sottolineare due dati di fatto. Il liberismo è l’unica teoria che consente a ogni individuo di esprimere il proprio potenziale attraverso la libertà di intrapresa. Chi sbaglia paga attraverso il fallimento personale e finanziario. Dunque, non esiste nessuna istituzione too big to fail (troppo grande per fallire) perché, salvandola, si opprimono in qualche modo coloro che hanno la possibilità di farcela. Tale assunto, però, si fonda sulla parità formale nelle condizioni iniziali tra i concorrenti, cioè tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri anche se magari non hanno gli stessi mezzi.
L’Unione Europea che conosciamo oggi non funziona così: si è creata un’unione monetaria e commerciale senza garantire parità di condizioni. Chi si è affiliato a questo club, partendo da situazioni disastrose (come l’Italia e la Grecia, giusto per fare due esempi) si è visto sempre più costretto da vincoli esterni a rinunciare all’utilizzo di leve politico-finanziarie che potessero sbloccare l’impasse in nome di una rigida disciplina dettata da terzi. Ecco, questo è tutto fuorché liberale: chi oggi invoca l’arrivo della Troika per consentire all’Italia di avere a disposizione i mezzi per mettere al sicuro il comparto bancario in cambio di nuova austerity, finge di ignorare che le sofferenze sono state create da politiche restrittive dissennate perché attuate in fase di congiuntura negativa. Insomma, si tratta di liberali e liberisti che si dimenticano della parola libertà. Liberali «all’amatriciana», potremmo definirli anche per ricordare i nostri connazionali feriti dal sisma con l’allusione alla pasta preparata con regole caserecce. All’amatriciana, appunto.
Wall & Street