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Al finanziere francese Vincent Bolloré, non è bastata la guerra aperta con il gruppo Mediaset per il suo tentativo di scalata al gruppo milanese. Il governo, infatti, ha avviato formalmente l’iter per valutare l’esercizio del golden power sull’asset strategico di Tim, ossia la rete, intesa come Sparkle, la società che gestisce sia il network in rame che i cavi in fibra su cui transitano i dati sensibili della sicurezza nazionale. Pressata dalla Consob a fare chiarezza sugli assetti di controllo e di comando, Tim ha formalizzato, di riflesso, l’inizio dell’attività e coordinamento da parte di Vivendi per mezzo di Arnaud de Puyfontaine, ad del gruppo francese e ora presidente anche di Tim. Nel primo cda i francesi hanno subito indicato due direttive operative: la prima, è la nomina al vertice come direttore operativo di Amos Genish, con la consequenziale uscita di Flavio Cattaneo. La seconda è il progetto di joint-venture, nel settore media, tra Canal Plus e la stessa Tim.

Vivendi in prima battuta, ha confermato formalmente di non esercitare alcun controllo su Tim e ciò ai sensi dell’art. 93 del Testo Unico della Finanza e dell’art. 2359 del Codice Civile. Ha specificato che la sua partecipazione pari al 23,94% detenuta in Tim non è sufficiente a determinare, legalmente, un esercizio stabile di influenza dominante sulle assemblee dei soci dell’azienda. «Giuridicamente le norme di controllo, di fatto previste dall’art. 2359 c.c. sono “applicabili solo in caso di una stabile posizione di controllo a livello assembleare”, situazione, ad oggi, effettivamente non rilevabile nel caso in oggetto, mentre il gruppo francese attua norme riguardanti l’attività di direzione e coordinamento che sono prettamente finalizzate a definire ed assicurare doveri e responsabilità derivanti dall’esercizio attuato da un socio nel seno di una attività imprenditoriale con un management direzionale», spiega Fabio Accinelli, esperto di diritto dei mercati finanziari. Vivendi ha altresì formalmente dichiarato che, in conformità ai principi contabili Ifrs 10, non sussiste un eventuale obbligo di consolidamento in bilancio (che comporterebbe l’assunzione della quota parte di 6,1 miliardi su un debito complessivo di 25,7 miliardi di euro del gruppo Tim) , non avendo alcun potere esaustivo al governo delle politiche finanziarie ed operative di Tim. Un parere pro veritate – scritto dal giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, e dal professor Andrea Zoppini – e presentato da Tim, che dovrà esporre le proprie controdeduzioni al comitato di esercizio entro il 23 agosto, evidenzia che Vivendi starebbe soltanto suggerendo una rotta di marcia al gruppo italiano delle tlc, che al pari di altre partecipate come Canal Group sarà coordinata senza che questo configuri un controllo civilistico.

«Appare quindi netta e chiara la linea giuridica “niente controllo=niente notifica da parte di Consob”», aggiunge Accinelli, spiegando che «nel caso in cui Vivendi in un futuro prossimo dovesse valutare in maniera diversa il proprio interesse a controllare direttamente Tim, dovrà debitamente informare nel merito sia il mercato italiano che quello francese». Non bisogna dimenticare, infatti, che Tim ha 61mila dipendenti. La partita Italia-Francia, dopo lo scontro Fincantieri-Stx e Vivendi-Tim, si è appena aperta. «Dopo la fortissima ingerenza francese nel settore del lusso, emblema del made in Italy, ad avvalorare la non reciprocità nei rapporti con la Francia ed il suo sistema finanziario sta il fatto che, oltre a Tim, la Francia ha già nel suo paniere finanziario numerose ed importanti industrie italiane quali: Edison, Parmalat, Cariparma, Bnl, Pioneer ed in ultimo, ma non per importanza, un ingente pacchetto azionario in Mediobanca». O, come rileva l’esperto di comunicazione Fabrizio Amadori, «forse è meglio capire se l’Europa sia veramente un’occasione per tutti o solo per alcuni, e se l’Italia, rimanendovi non faccia il gioco di quelli che usano un’unione internazionale per fare solo e soltanto gli interessi nazionali».

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