Olimpiadi 2026, perché sì e perché no
La candidatura congiunta di Milano, Torino e Cortina per le Olimpiadi Invernali 2026 ha creato un notevole dibattito. La maggioranza degli italiani pare favorevole all’organizzazione dell’evento tant’è vero che anche il sindaco del capoluogo piemontese, Chiara Appendino, esponente di un partito come M5S notoriamente contrario a tutte le forme di infrastrutturazione del Paese, è stata «costretta» dalla cittadinanza a sostenere il dossier. Tuttavia permangono opinioni contrarie e non tutte sono nutrite di qualunquismo («i soliti sprechi», «il solito magna magna», «ci guadagneranno tangentisti e palazzinari»), ma cercando di argomentare come i rischi siano superiori alle opportunità. Ecco perché abbiamo voluto mettere a confronto due testimonianze: quella di Franco Amicucci, sociologo ed esperto di formazione aziendale, e quella di Fabio Accinelli, esperto di diritto dell’economia.
Franco Amicucci: «Perché sì»
Cosa spinge un paese a candidarsi per ospitare e gestire una grande manifestazione mondiale come le Olimpiadi? Come valutare l’equilibrio tra costi e benefici? Sono almeno 5 le dimensioni, proprio come gli anelli olimpici, da prendere in considerazione.
Immagine del paese
Le Olimpiadi sono da sempre un catalizzatore dell’opinione pubblica mondiale per un periodo che va oltre la durata della manifestazione perché coinvolge tutta la fase preparatoria ed anche, se pur breve, il periodo successivo. Le caratteristiche del paese ospitante, cultura, storia, paesaggi, per un prolungato periodo di tempo, sono al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Come in tutti i grandi eventi del passato, occorre tenere ben presenti i rischi di potenziali eventi negativi concomitanti, che sarebbero amplificati.
Infrastrutture
Da sempre le grandi manifestazioni sportive, come le grandi esposizioni universali, sono una grande opportunità per innovare e potenziare le infrastrutture delle aree coinvolte, non solo impianti, ma strade, aeroporti, strutture recettive. Opportunità positiva se lo sviluppo delle infrastrutture è all’interno di una grande visione di sviluppo che va oltre il periodo della manifestazione: al contrario, se prevalgono visioni localistiche e limitate alla manifestazione, il rischio di creare grandi strutture che poi rimarranno inutilizzate, è molto alto. E’ da sempre anche il punto di maggior attenzione per i fenomeni corruttivi legati alle grandi opere tipici del nostro paese.
Professionalità
Progettare, organizzare e gestire una manifestazione internazionale come le Olimpiadi, richiede la messa in campo di una molteplicità di professionalità e competenze che il nostro paese ha dimostrato di possedere, anche recentemente, con Expo 2015. Nel nostro Paese abbiamo team professionali specializzati nell’organizzazione di grandi eventi, che si spostano nei vari Paesi del mondo per operare nelle varie manifestazioni. Il coinvolgimento di team locali, di migliaia di volontari ed appassionati, alimenta una molteplicità di nuovi lavori e di nuove imprese.
Flussi turistici
È questa una classica ricaduta di ogni evento internazionale, che richiede la mobilitazione ed il coinvolgimento di tutta la filiera turistica, dalla gestione dei trasporti all’ospitalità, alla creazione di offerte che vadano oltre i luoghi dell’evento, per estendersi a tutto il sistema paese.
Economia
La ricaduta economica è da sempre il punto più controverso, perché dipende dai fattori presi in considerazione nell’equilibrio costi – benefici. Se il beneficio viene circoscritto alle entrate economiche degli sponsor, dei biglietti e di altre entrate dirette, normalmente è difficile parlare di immediato equilibrio economico. Diversamente, se prendiamo in considerazione l’insieme dei fattori, probabilmente la bilancia si sposta verso il fattore positivo. Localismi, ricerca del consenso a breve, mancanza di grandi visioni sono i fattori che rischiano invece di trasformare una grande opportunità in ulteriore fattore di declino del nostro paese. È bene allora, è buon senso, far emergere le migliori energie, che sono tante, del nostro Paese.
Fabio Accinelli: «Perché no»
I conti non tornano mai e le Olimpiadi sono una vera e propria maledizione continua per le località geografiche dove passa e si svolgono. Di fatto, sono una vera e propria piaga biblica economica, bruciando soldi in spese astronomiche mai preventivate e non preventivabili. Alla domanda se un evento olimpico «faccia bene» al Paese che le ospita bisogna porre in essere una lettura economica nel merito. Di fondo esiste la realtà documentale per le esperienze passate, che per quanto siano mirabolanti le promesse fatte al momento della candidatura, il problema si evidenzi e venga dopo. Infatti, è storicamente accaduto che gli effetti benefici a livello economico siano sempre stati sovrastimati: quelli dei costi, invece, sottostimati. Lo stesso beneficio che dovrebbe nascere nel paese ospitante, il cosiddetto feel good effect, lascia il tempo che trova. Il primo step risulta essere il meccanismo della selezione alla partecipazione del Paese alla gara che farà il comitato politico, il quale prevede una serie di: analisi, piani, stime inerenti a costruzioni, impatto economico, sforzo di marketing, infrastrutture, export e posti di lavoro. Ebbene solo queste analisi necessitanti per gareggiare sono costate, per fare un esempio, a Chicago tra i 70 e i 100 milioni di dollari. Statisticamente, considerando le ultime dieci edizioni delle Olimpiadi, il costo stimato è stato di molto superato dal costo effettivo, con in media uno sfasamento di oltre il 150%. Considerando le ultime 19 edizioni su 10 casi lo sforamento è stato maggiore del 50%, in altri 9 casi ben oltre il 100%.
Ma perché un Paese vuole partecipare ad una Olimpiade? Innanzitutto vi è la politica che spinge affinché, con una logica assolutamente errata, questi progetti facciano bene al Paese, senza considerare che è documentato come nel breve periodo le Olimpiadi siano in perdita, con benefici di lungo periodo non quantificabili perché sono documentabili le ricadute di lungo periodo in termini occupazionali, mentre quelli attinenti a soddisfazioni personali e/o di immagini non lo sono. Quindi non vi è nessuna metodologia scientifica che riesca a dimostrare un efficacia per le Olimpiadi dei Paesi che le ospitano. Inoltre l’ego del paese Partecipante è spesso spinto con candidature favorite dalle lobby industriali che sostengono direttamente la classe politica locale. Tanto che ultimamente vi è un cambiamento di indirizzo sulla procedura delle selezioni, che sarà formalizzata solamente ad inviti e quindi valutando rischi ed opportunità politiche ed economiche e riducendo così il costo legato alla candidatura perché tutto dovrà passare al vaglio della sostenibilità con una più attiva attenzione alla corruzione ed alla trasparenza.
Personalmente, quindi, vista la situazione odierna delle finanze pubbliche italiane, non solo il partecipare alla gara, ma anche la vittoria con l’assegnazione è sicuramente una cosa da non auspicare. Questo sforzo economico, in teoria, promette meraviglie per il Paese ospitante, ma bisogna stare con i piedi per terra. Anche perché è difficile, se non impossibile, stimare davvero il moltiplicatore di spesa sulla ricaduta economica globale del paese ospitante dei giochi. Storicamente esiste solo un caso in cui ne è valsa la pena: Barcellona, dove il cosiddetto «effetto gemma nascosta», ovvero la visibilità conquistata dai riflettori Olimpici, è stata gestita abilmente e con pieno successo, tanto che la città di Barcellona, quando ha ospitato le Olimpiadi, nel 1992, era al 13simo posto nella graduatoria delle città turistiche europee: dopo tale evento è balzata al quinto posto oggi ancora mantenuto.
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