Pubblichiamo un’analisi di Paolo Duranti, esperto fiscalista dello Studio Mazzocchi & Associati di Milano

«Tra gli obiettivi della riforma fiscale, il cui disegno di legge-delega è stato approvato da Palazzo Chigi nelle scorse settimane, si trova anche una norma che interessa direttamente associazioni, fondazioni ed enti non profit in genere. Il nuovo impianto normativo, invero, dovrà contenere ulteriori misure di semplificazione e di razionalizzazione delle attuali agevolazioni previste a beneficio – spiega il citato disegno di legge – “dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà”. Si tratta di un principio del tutto condivisibile, ma che presuppone la previa soluzione di alcuni aspetti.

Innanzitutto, occorre verificare se, quando e in che misura le disposizioni tributarie introdotte dal Codice del Terzo Settore (d.lgs. 117/2017) entreranno finalmente in vigore: ciò dipenderà dalla posizione che intenderà assumere la Commissione Ue, il cui assenso rappresenta a tal fine una condizione vincolante. Senza l’ok di Bruxelles, infatti, la riforma fiscale è destinata a rimanere nel cassetto. D’altronde, questo passaggio è ben chiaro al Legislatore del disegno di legge-delega relativa alla riforma fiscale, laddove precisa che la richiamata opera di razionalizzazione e semplificazione della materia dovrà essere effettuata “in coerenza con le disposizioni del codice del Terzo settore (…) e con il diritto dell’Unione europea”.

Ma vi è peraltro un ulteriore aspetto che non può essere sottaciuto: ad avviso di chi scrive, si può ipotizzare un efficace intervento finalizzato a semplificare la disciplina tributaria riservata agli enti non profit soltanto attraverso uno sforzo volto, in un certo senso, a tipizzare i comportamenti che assumono carattere commerciale. È necessario, in altre parole, che il Legislatore recepisca i criteri assunti nel tempo dall’Amministrazione fiscale e dalla giurisprudenza (sia di merito, sia di legittimità) al fine di perimetrare più compiutamente l’ambito delle attività svolte “con modalità non commerciali”. Altrimenti si rischia di introdurre nel nostro ordinamento un’altra norma di difficile interpretazione, e di lasciare nel panico gli stessi operatori, in larga parte volontari, del mondo del volontariato, dell’associazionismo sportivo e dell’assistenza socio-sanitaria.

Potrebbe essere opportuno infine chiarire il “destino”, sotto il profilo tributario, delle attività che saranno realizzate dagli enti che per scelta non approderanno nel Registro unico nazionale del Terzo Settore: non è affatto escluso che numerose associazioni, soprattutto poco strutturate economicamente e sul piano organizzativo, decidano di non iscriversi al Registro, con la conseguente impossibilità di soggiacere alla nuova normativa.

Nel contesto descritto, opportunamente il disegno di legge-delega prevede l’introduzione di misure volte a razionalizzare la disciplina dell’Iva per gli enti del Terzo Settore, “anche al fine di semplificare gli adempimenti relativi alle attività di interesse generale” (cioè delle attività istituzionali dell’ente)».

Paolo Duranti

 

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