A volte penso che l’economia sia una scienza più affine alla meteorologia che alla meccanica newtoniana. Più stocastica, basata su fenomeni in movimento, che deterministica. Con l’avvento di Donald Trump, l’elemento aleatorio della politica economica americana ha acquisto sfumature apocalittiche.

In molti hanno criticato la formula puerile adottata da Donald Trump per calcolare le famigerate tariffe globali annunciate il 2 Aprile. Ma la domanda catartica è: Il Presidente ha un piano per evitare che la globalizzazione degeneri in autarchia, inflazione, decrescita (in)felice, e guerre?

Il possibile piano si chiama “Mar-a-Lago Accord”, ed è stato pubblicato il 13 Novembre 2024 da Stephen Miran, personaggio di spicco nel team economico della nuova amministrazione. Trump non ha mai nominato l’accordo in pubblico, ma gli addetti ai lavori cominciano a prenderlo sul serio.

In breve, l’accordo prevede il perseguimento di due scenari contraddittori: 1) abbassare il valore del dollaro rispetto alle altre valute, per riportare la produzione industriale negli Stati Uniti. E allo stesso tempo 2) mantenere il primato del dollaro sulla scena internazionale.

Non entro nei dettagli delle misure suggerite da Miran sul suo paper, ma la metafora che mi viene in mente leggendolo è la doccia scozzese: acqua gelata e poi bollente gettata in testa ad alleati e partner commerciali, e poi daccapo. Aggiungo che troppi commentatori prendono l’accordo sul serio per permettermi di ironizzare con autorevolezza.

Una delle misure proposte da Miran è barattare tariffe e protezione militare, imponendo ai vari Paesi di scambiare i titoli di Stato americani detenuti dalle loro banche centrali con obbligazioni senza interessi, scadenza a 100 anni! Praticamente, una tassa appioppata ai detentori del debito pubblico americano, il cui acquisto verrebbe comunque imposto con una pistola alla tempia. Sulla carta, questa misura svaluterebbe il dollaro senza affossarlo, e alleggerirebbe la pressione sulla restituzione del debito e relativi interessi.

Digressione. Il 22 Febbraio 2025, Niall Ferguson ha pubblicato sul Wall Street Journal un’analisi storica dove dimostra che quando una grande potenza spende più per il servizio del debito (interessi + rimborso del capitale) che per la difesa, rischia di cessare di essere una grande potenza. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno varcato per la prima volta quella soglia. Fine digressione.

Come ha sottolineato uno sveglio lettore Cinese sul Financial Times del 17 Marzo 2025, il Mar-a-Lago Accord sarebbe una riedizione di quello che accadde nel 454 AC alla Lega Delio-Attica (la NATO greca istituita contro la minaccia Persiana), quando l’oro della Lega fu trasferito dalla neutrale isola di Delo ad Atene. Da quel momento in poi, i contributi volontari in un rapporto tra pari diventarono tributi dei vassalli all’egemone. Con il tesoro ricavato dai tributi degli Alleati, Atene costruì una flotta, ma anche il Partenone e altre bellezze che avevano nulla che fare con la difesa comune.

La Lega Delio-Attica fu poi usata da Atene per schiantarsi contro Sparta, ma questa è un’altra storia.

Davanti all’arroganza trumpiana, noi europei sogniamo di emanciparci, sviluppando un esercito comunitario che risponda alle direttive di chissà chi, e acquistando solo armi europee al posto di quelle americane.

A questo proposito, un articolo sul Financial Times dell’11 Marzo 2025 descrive quello che è successo in Afganistan nel 2021, quando gli Stati Uniti hanno abbandonato quel disgraziato Paese al suo destino:

«Nel 2021 (…) un alleato degli Stati Uniti {il governo fantoccio Afgano, ndr} teneva a bada un’insurrezione mortale {dei Talebani, ndr}, aiutato da squadroni di aerei militari americani. Quando la politica estera degli Stati Uniti cambiò, gli aerei rimasero, ma contractors, pezzi di ricambio e aggiornamenti software scomparvero da un giorno all’altro. Nel giro di poche settimane, più della metà degli aerei non potevano più volare, e quattro mesi più tardi, Kabul cadde in mano ai Talebani».

In parole povere, le armi americane sono utilizzabili solo se l’egemone è d’accordo.

Un esperto mi smentirà, ma l’Unione Europea cammina su una sottile lingua di terra, in bilico tra due precipizi: da una parte, le famigerate tariffe. Dall’altra, un ulteriore appiattimento sulla politica estera americana, aggressiva e prepotente già da molto prima dell’avvento di Donald Trump.

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