IMG_0273Dalla Cina arrivano altri 60 miliardi di dollari per lo sviluppo del continente africano, nell’ambito del progetto della Nuova Via della Seta. Nel mentre la Russia, nonostante le minacce di Trump, ha bombardato Idlib, dando il via alla liberazione dell’ultima porzione di Siria in mano ai ribelli. Nel Donbass, in Ucraina, affermano invece fonti dei guerriglieri locali, sarebbero giunti ufficiali militari dagli Stati Uniti e dal Canada, fatto che lascerebbe presagire una volontà di intervenire militarmente da parte delle potenze occidentali.

Che cosa hanno in comune queste tre notizie? Apparentemente slegate, sono invece unite da un fil rouge, un filo conduttore unico: il contrasto, sempre più chiaro e netto, tra i due grandi schieramenti del panorama globale, l’Occidente a trazione angloamericana e l’Eurasia guidata da Russia, Cina e Iran. Un confronto che ormai tocca diverse sfere: la sfera geopolitica, quella economica e quella monetaria. Al proposito, già si era parlato su questo blog dei congiunti sforzi russi e cinesi per inficiare il predominio globale del dollaro, sostituendolo progressivamente negli scambi. Il traguardo è quello di una progressiva de-dollarizzazione del mercato internazionale.

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VOSTOK 2018: LA PIÙ GRANDE ESERCITAZIONE RUSSA DALLA GUERRA FREDDA. CON TRUPPE CINESI

Si è detto però che il confronto è anche militare. E allora, a tal proposito, giova segnalare che quella che è già stata definita come la più grande esercitazione militare russa dai tempi della Guerra Fredda (per la precisione dal 1981, quando il disgelo tra URSS e USA era ancora da venire), intitolata “Vostok 2018″ e che si svolgerà nei prossimi giorni con la partecipazione di 300mila soldati, 1000 aerei da combattimento e 900 carri armati, vedrà per la prima volta un significativo contingente cinese, 3200 truppe. È il sintomo di una cooperazione strategica tra i due giganti, Mosca e Pechino, che è sempre più stretta. E che preoccupa gli Stati Uniti.

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SIRIA: VIA ALL’OFFENSIVA SU IDLIB, TRUMP IGNORATO DAI RUSSI

A proposito di preoccupazioni americane, il tweet di Trump che invitava Russia e Iran (terza colonna portante dell’asse eurasiatico) a non partecipare agli attacchi dell’esercito siriano su Idlib è stato liquidato con le bombe dei Sukhoi. Putin e gli iraniani e i loro alleati delle milizie libanesi di Hezbollah non hanno la benché minima intenzione di mollare Assad sul finale di partita contro le ultime roccaforti jihadiste (inutile dire che “ribelli” sarebbe un termine eccessivamente edulcorato) e il governo siriano ben gradisce questo supporto. Con buona pace delle irricevibili richieste di Washington e Tel Aviv sul ritiro delle truppe sciite. Ovviamente in questo scenario, come già si era detto, importante sarà il ruolo della Turchia, che dovrà scegliere da quale parte stare.

UCRAINA: TRUPPE AMERICANE E CANADESI IN DONBASS?

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Se in Siria la situazione volge a favore di Mosca e Teheran, in Ucraina, dopo la morte in un attentato del filo-russo Aleksandr Zakharchenko, leader della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, l’Occidente si fa minaccioso. Secondo Eduard Basarin, rappresentante del comando operativo filo-russo, le truppe del governo ucraino si starebbero preparando a un’offensiva che spezzerebbe definitivamente gli effetti degli accordi di Minsk. Inoltre, il capo dell’ufficio stampa del comando operativo dell’esercito di liberazione popolare di Donetsk, Daniil Besnosov, ha dichiarato che un gran numero di militari stranieri è arrivato nel territorio del Donbass, tra cui, come si diceva, ufficiali militari di alto rango degli Stati Uniti e del Canada. Lo riporta Fort Russ. Una situazione che, specie dall’assassinio di Zakharchenko, non promette nulla di positivo.

DA PECHINO PIOGGIA DI MILIARDI SU AFRICA E PAESI ARABI

Mentre la Federazione Russa è attiva in prima linea in questo confronto con l’Occidente, la Repubblica Popolare Cinese per ora si tiene alla larga dai principali teatri di conflitto e in generale dal confronto militare (sebbene le sue spese in armamenti siano in costante e vertiginosa crescita). Ma la sua capacità di penetrazione economica, e quindi di sfida al primato occidentale in questo campo, grazie anche al progetto Belt and Road Initiative, è inarrestabile. Per quanto concerne l’Africa, dopo i 60 miliardi già stanziati nel 2015, durante il Forum on China-Africa Cooperation il presidente Xi Jinping ha infatti annunciato la sua volontà di raddoppiare. “Nello specifico spiega Milano Finanzadei 60 miliardi promessi per i prossimi tre anni 15 miliardi arriveranno sotto forma di aiuti e prestiti a interessi zero, altri 20 miliardi invece si materializzeranno come linee di credito a favore delle imprese, altri 10 miliardi saranno destinati a un fondo speciale per lo sviluppo del Paese, ulteriori 5 miliardi andranno a favorire le importazioni dall’Africa e, infine, gli ultimi 10 miliardi serviranno per sostenere progetti privati delle imprese cinesi“. Solo a luglio la Cina aveva annunciato la concessione di un prestito da 20 miliardi per i Paesi arabi.
Questi investimenti, soprattutto nel continente nero, sono destinati a mutare i rapporti di forza globali. Non a caso la prima base militare cinese fuori dai confini nazionali è stata aperta proprio nel continente nero, a Gibuti.

CRISI E TENSIONI INTERNAZIONALI DA LEGGERE ALLA LUCE DEL CONFRONTO TRA BLOCCHI: È LA “SECONDA GUERRA FREDDA”

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È dunque all’interno della progressiva e crescente conflittualità tra due blocchi, Occidente ed Eurasia, piuttosto che come situazioni isolate di conflittualità geopolitiche tra la Russia o l’Iran e gli Stati Uniti o economiche tra questi e la Cina, che bisogna necessariamente leggere le sempre più numerose situazioni di instabilità globale? Alcuni osservatori iniziano a parlare di una “seconda guerra fredda”. Certo è difficile negare che queste instabilità siano figlie del tentativo del primo blocco, occidentale e liberale, di reagire alla progressiva perdita di influenza, con esiti purtroppo catastrofici. Se si fissa il 2001 (anno dell’attacco alle Torri Gemelle ma anche dell’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio) come data di partenza di questo lungo confronto, si può notare come tutti gli interventi militari a guida occidentale da allora abbiano prodotto esclusivamente destabilizzazioni mai (o mal) sanate: Afghanistan, Iraq, Libia, un elenco di Paesi precipitati nel caos e mai più risollevatisi.

A tal proposito tocca constatare come il presidente “anti establishment” Donald Trump si ponga, in realtà, in netta e totale continuità con i suoi predecessori. Le tensioni internazionali vanno infatti aumentando in quantità ed esacerbandosi in qualità e, nel contempo, le guerre commerciali nel segno del motto “make America great again“, da inserirsi nel tentativo di sovvertire la perdita di fette di egemonia economica causate della globalizzazione di cui sopra (globalizzazione che peraltro è un prodotto interamente figlio dell’ordine mondiale liberale costruito dagli Stati Uniti) stanno accelerando il processo di scontro con la Cina.

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La grossa domanda tuttavia è un’altra. Questa nuova e strana guerra fredda, diventerà mai una guerra calda? Il buonsenso preferirebbe una risposta negativa. Tuttavia, se nella prima i blocchi erano anche ideologicamente riconoscibili, in questa seconda guerra fredda lo sono meno, con la conseguentemente minore consapevolezza collettiva di vivere una situazione molto seria e grave. Eppure, purtroppo, i segnali indicano che la disponibilità a prepararsi a qualcosa di grosso non possa essere del tutto esclusa.

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