Erdogan: un equilibrista a Parigi
Tra i leader più spregiudicati del panorama internazionale spicca certamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Come si era già detto su queste colonne a proposito dell’affaire Khashoggi, il “sultano” di Ankara e, dietro di lui, il Qatar e l’intera filiera dei Fratelli Musulmani, dopo due anni a braccetto con Russia e Iran, stanno infatti tentando sempre di più un riavvicinamento all’Occidente e agli Stati Uniti, a danno dell’Arabia Saudita.
Non è forse un caso che, in occasione di una visita al presidente ucraino Petro Poroshenko di pochi giorni fa, Erdogan abbia reiterato in maniera decisamente vigorosa il proprio sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina, negando il riconoscimento dell'”annessione” (essendosi trattato di un sostanziale plebiscito popolare le virgolette sono più che opportune) russa della Crimea.
“La nostra posizione è di sostegno alla sovranità e integrità territoriale, oltre che unità politica, dell’Ucraina – ha spiegato Erdogan – Abbiamo sottolineato ancora una volta come non abbiamo mai riconosciuto e mai riconosceremo l’annessione illegale della Crimea. Continueremo a proteggere i diritti e gli interessi dei tatari di Crimea, sia coloro che sono rimasti sul territorio della penisola che quelli costretti a lasciare la regione“.
La dura presa di posizione di Erdogan arriva alla vigilia della sua partecipazione, nella giornata di domani, alle celebrazioni per il centenario della fine della prima guerra mondiale a Parigi, su invito del presidente francese Emmanuel Macron. Un invito doveroso, dopo che l’inquilino dell’Eliseo era stato invitato dal suo omologo turco a Istanbul per il meeting sulla Siria con Angela Merkel e Vladimir Putin. Partecipazione curiosa invece quella di Erdogan, perché la Turchia ottomana nella Grande guerra fu tra le nazioni sconfitte. In Turchia, nello stesso giorno, si celebrerà l’ottantesimo anniversario della scomparsa di Mustafa Kemal Ataturk, fondatore del moderno stato turco ma anche eroe di guerra dell’impero proprio nel primo conflitto mondiale.
Comunque sia, la cerimonia parigina sarà per Erdogan anche l’occasione per incontrare sia Donald Trump che Vladimir Putin, tra i quali sta evidentemente giocando da equilibrista.
Che il rapporto con gli USA, dopo i minimi livelli raggiunti in estate, con la crisi della lira turca e la crisi diplomatica per la detenzione di Andrew Brunson in corso, sia in pieno recupero lo dimostra il fatto che la Turchia è tra gli otto Paesi esentati dalle nuove sanzioni statunitensi contro l’Iran. Con una piccola ma sostanziale e vantaggiosa differenza rispetto agli altri sette: la Turchia è l’unica realtà direttamente confinante con la Repubblica Islamica.
Non è finita qui, perché nei giorni scorsi, attraverso l’ambasciata statunitense ad Ankara, gli USA hanno garantito ai Turchi “in virtù della cooperazione anti-terrorismo con gli alleati nella NATO“, di aver stanziato delle ricompense monetarie di diversi milioni di dollari per chi consentirà di inviduare tre esponenti “della formazione terroristica del PKK, il Partito Comunista Curdo“. Un segnale che non può che fare piacere a Erdogan, il quale ha più volte chiesto agli americani di cessare il supporto per lo “spin-off” siriano del PKK, ovvero le forze dell’Unita di Protezione del Popolo (YPG), che detengono i territori e est dell’Eufrate, dove nei giorni scorsi truppe statunitensi hanno svolto pattugliamenti congiunti proprio con i curdi. Dopo il recente meeting di Istanbul, l’esercito turco aveva bombardato le postazioni dell’YPG nei pressi di Kobane.
Sembra difficile che gli americani rinuncino al loro supporto alle truppe curde in Siria per compiacere le mire di Erdogan, per il quale i territori occupati dall’YPG sono vitali dal punto di vista della politica energetica. E, viceversa, è anche difficile che la Turchia faccia, in cambio della “testa” di tre esponenti del PKK, retromarcia sull’acquisto, peraltro già finalizzato, dei sistemi antiaerei S400 russi, il vero obiettivo di Washington. Però, con il “sultano”, mai dire mai…