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L’incapacità del nostro sistema produttivo di reagire a una crisi economica peggiore di quella del ’29 – in termini di discesa del prodotto interno lordo e degli investimenti – sovrapposta alle macerie lasciate dalla riforma Fornero ha lasciato senza prospettiva oltre 750mila «over 50».  Giunti a pochi passi dalla pensione, hanno visto cancellarsi il proprio posto di lavoro, fino all’ossimoro degli esodati. Padri di famiglia, privati del salario e senza ancora assegno Inps, che devono gestire sia l’onere di fare fronte alle spese di tutti i giorni, del mutuo o dell’affitto sia quello necessario per sostenere figli che sembrano condannati al precariato a vita. La famiglia, che per anni ha rappresentato il primo ammortizzatore sociale, sta insomma smarrendo il proprio ruolo. Senza contare che perdere il lavoro a 50 anni è un lusso che pochi possono permettersi, soprattutto in un sistema bloccato come quello italiano. Reinventarsi, riqualificarsi, proporsi sul mercato in proprio o nella veste di consulenti però è sia un’opportunità sia un dovere. Ed è da questo punto fermo che parte la terza puntata di questa guida sul lavoro dopo aver cercato nei due giorni trascorsi di offrire una bussola ai diciottenni per scegliere al meglio tra università e lavoro e ai venticinquenni per farsi scegliere dalle imprese nella corsa all’ impiego.

 

E ora cosa faccio?

La reazione più comune è rivolgersi a un’altra azienda che opera nello stesso settore. Ma, prendendo il coraggio a due mani, e non è facile, vale la pena ricominciare.  Ovviamente dipende dalle disponibilità economiche e dall’urgenza di trovare una nuova occupazione. In estrema sintesi si possono individuare tre percorsi più o meno «standard»:

  1. Insistere sul proprio ambito e, nonostante l’età, affidarsi al proprio curriculum e cercare opportunità laddove siano disponibile e affrontare la possibilità di sostenere colloqui e interviste (le procedure sono le stesse che abbiamo visto nelle prime due puntate)
  2. Affrontare un percorso formativo, di durata ovviamente più breve, e cercare di sfruttare il canale dell’outplacement, ossia della ricollocazione in altri ambiti
  3. Giocarsi il tutto per tutto e avviare una nuova attività in proprio

 

In breve, affronteremo queste due ultime opzioni.

 

La carta dell’outplacement

Le Agenzie per il lavoro (Apl) sono un canale privilegiato per la riqualificazione professionale: si trovano sul portale del ministero del Lavoro. Un altro canale utile è quello delle Regioni. Il Fondo sociale europeo opera sul nostro territorio attraverso gli enti locali che organizzano corsi di formazione permanente. Non tutte le Regioni però sono attive allo stesso modo: alcune stentano a sfruttare i finanziamenti europei e magari li perdono.

A volte, purtroppo, occorre anche un po’ di fortuna. Alcuni contratti nazionali, infatti, prevedono già al loro interno la possibilità di rivolgersi alle Apl nel caso di apertura di stati di crisi in modo da salvaguardare il personale. Ad esempio, Confapi è stata una delle prime ad attivarsi in questo senso. Ecco perché Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di Gi Group (la principale Apl in Italia) auspica un cambio di rotta. «Speriamo che il prossimo governo renda obbligatori i servizi di ricollocazione professionale per le aziende che licenziano. Un tale provvedimento potrebbe portare a un risparmio per lo Stato di quasi un miliardo di euro l’anno, grazie all’abbassamento dei tempi di reinserimento lavorativo che, oggi, per l’outplacement sono di circa 6-8 mesi».

Solo lo 0,3% del Pil, infatti, è dedicato alle politiche attive per il lavoro. Ma come funziona l’outplacement? Si svolge, sostanzialmente, in tre fasi. Nella prima, si fornisce un «supporto psicologico» che aiuti i candidati a superare il trauma della perdita del posto del lavoro. Nella seconda, si opera uno scouting per comprendere quali siano potenzialità e ambizioni dell’individuo. Nella terza si passa alla formazione vera e propria che avvicina a un nuovo percorso professionale. Il contributo dell’azienda che ha effettuato la riduzione del proprio personale è fondamentale: se l’outplacement è previsto dalla contrattazione, il costo del minor tempo di mobilità si traduce in un bonus aggiuntivo (oltre alla «buonuscita»)  da spendere per le attività di reinserimento, oppure nella definizione di percorsi alternativi. Altre utili informazioni possono comunque essere reperite sul portale dell’Aiso (l’associazione delle agenzie di outplacement) e su Jobtel di Unioncamere.

 

Mettersi in proprio

Fare da sé non è un sogno. L’importante è rispettare due regole semplici:

  1. Avere le idee chiare sul settore nel quale investire
  2. Compiere una profonda analisi che consenta di effettuare un investimento adeguato a possibilità e competenze.

Per quanto riguarda il primo punto, si tratta soprattutto di sovvertire alcuni luoghi comuni. Non bisogna avere paura di pensare in grande né andare al risparmio. L’ambizione è uno stimolo in più, mentre partire con il freno a mano tirato potrebbe significare compromettere già dall’inizio le possibilità di guadagno. Da questo punto di vista, quindi, confrontarsi con chi già lavora nello stesso ambito, qualsiasi esso sia, è fondamentale. Ascoltare il maggior numero di pareri è quasi un obbligo per non rinchiudersi in eventuali false convinzioni. Analogamente importante sarà abituarsi al gioco di squadra. Non è vero che l’imprenditore è un autocrate: se non si abitua a far lavorare al meglio il proprio team e se non si adegua alle esigenze dei clienti, è destinato a non fare molta strada.

 

Il finanziamento: la benzina dell’impresa

Come detto, il calcolo dei costi per avviare la propria iniziativa deve essere effettuato con uno scrupolo certosino. Coloro che hanno a disposizione un o’ di risorse in più farebbero bene ad avvalersi di un consulente per stilare un vero e proprio business plan, cioè un piano che considera lo stato del mercato di riferimento ed esamina punto per punto, tutti gli investimenti che saranno necessari per iniziare il viaggio. Tanto più preciso è il business plan tanto maggiori sono le possibilità di  potersi presentare presso il responsabile Pmi di una banca e ottenere ascolto. Certo, non è altrettanto automatico che un istituto possa scommettere su di voi visto che la crisi non lascia molti margini di manovra alle banche, già alle prese con un pauroso aumento dei crediti in sofferenza.

Fortunatamente, esistono anche i finanziamenti a fondo perduto concessi dalla Comunità Europea attraverso le Regioni. Utili informazioni si trovano sul sito del ministero dello Sviluppo o su blog specializzati (come questo) che si peritano di raccogliere tutte le normative regionali su finanziamenti a fondo perduto e credito agevolato per chi vuole avviare attività artigianali, bed & breakfast, aderire a un franchising o più semplicemente aprire una pizzeria o una lavanderia self service. Ricordatevi comunque di informarvi presso le Camere di Commercio (o i loro siti Internet) sulle autorizzazioni da richiedere per avviare la vostra impresa. Ci vuol poco perché – per un mancato visto – la Asl locale vi faccia chiudere baracca prima ancora di aprirla.

 

Il parere dell’esperto

«Dalla loro, gli over 50 hanno una carta che possono giocarsi: quella delle competenze. A differenza dei giovani, gli over 50 conoscono bene un mestiere perché ad esso si sono dedicati in maniera continuativa per anni. Su questo dovrebbero puntare, sul ruolo di trasmissione intergenerazionale, spendendosi, ad esempio, in attività di consulenza e formazione», sottolinea Cristina Pasqualini, docente di Metodologia delle scienze sociali all’Università Cattolica di Milano. «Bisogna sfatare alcuni falsi miti, nello specifico che i giovani sono più produttivi, creativi e innovatori dei meno giovani e quindi risorse più appetibili per le aziende. Questo è vero solo in parte, perché in realtà ben poco si crea dal niente, ma, molto più spesso, il nuovo si genera dalla ricombinazione originale di elementi già presenti in tavola: come il vecchio entra nel nuovo e lo riconfigura innovandolo, così i senior possono entrare nelle aziende, affiancare e supportare i più giovani nei processi creativi e produttivi».

 

Wall & Street

Si ringrazia per la collaborazione Laura Verlicchi

– Qui la prima puntata della guida: Che cosa fare per trovare lavoro a 18 anni

-Qui la seconda puntata della guida: Che cosa fare per trovare lavoro a 25 anni

– Qui il link al post su Come creare un’impresa di successo

 

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