La lingua italiana? Bandita dal vocabolario quotidiano
La e-mail era finita nello spam, erroneamente scambiata per phishing. In realtà, me l’aveva scritta il CMO su indicazione del CEO e aveva come oggetto la startup di una B2B. La recuperai e subito feci forward al mio CTO in modo da stendere un planning rispettando la deadline del nostro customer e, soprattutto, il suo budget. Ci lavorai H24 in vista della importante conference call da fissare ASAP, chiedendo aiuto a dei freelance, particolarmente ferrati nel business, per preparare lo speech. Il che, mi fece perdere di vista la mia vita sociale. Niente happy hour nel pub trendy e, soprattutto, addio brunch e cooking show (adoro il finger food) nel restaurant frequentato da Vip e celebrities (ma si mangia meglio nel take away sotto casa). Riuscii giusto a ritagliarmi il tempo per un cocktail e per presenziare a un opening, sempre vestito fashion, rigorosamente British Style, perché il look è tutto se vuoi essere cool. Il mio amico chef direbbe «ça va sans dire». Chiuso nel mio loft, non persi, comunque, il derby, facendo zapping tra Sky e Premium, dove uscimmo sconfitti subendo un goal da corner, penalizzati anche da un offside inesistente e per un penalty dubbio come dimostrò il replay e confermò lo speaker. Sulle assurde scelte del mister feci un post nel mio blog, il cui link misi anche su Facebook raccogliendo diversi like. Non so perché, quella sera, sentendomi petaloso, dalla rabbia non feci tweet. Del resto, ero un social network addicted. Grazie al mio Wi-Fi, facevo download delle mail sul mio smartphone touch screen, sempre online, dotato del più sofisticato hardware e implementato da app con software must-have. Ricordo il giorno che andai in crisi per aver dimenticato il mio laptop sulla car2go. Per fortuna avevo fatto il backup sul Cloud. Del resto, ero un assiduo frequentatore dei Lost and Found di ogni terminal nel quale, da frequent flyer, mi trovavo a transitare. Ormai, le hostess si facevano dei selfies con me (in cambio, mi aiutavano nei casi di overbooking), infischiandosene della privacy. Un gioco che ci stava. Immaginate, però, lo choc quando mi si avvicinò il Premier, nella sala Lounge, accanto all’InfoPoint. Lui, alle prese con Stepchild Adoption e il Jobs Act, mi trattò come se fossi un Vip. Probabilmente, sbagliò persona, scambiandomi per qualche Leader. Il dubbio mi venne quando si mise a parlare del recente Family Day e di alcune modifiche in tema di Welfare. Non lo contraddissi, limitandomi a sporadici ok ed infilandomi al check-in. L’imminente meeting mi creava problemi con la mia partner conosciuta ad un blind date. La vedevo poco, a parte via Skype. Per fortuna, ci scambiavamo whatsapp, con emoticons e smiles. Mi sarei fatto perdonare donandole uno smartbox per un weekend in Spa, con scrub e cerette total body. E ci avrei aggiunto una serata sushi all you can eat, anche se il mio desiderio era regalarle dei sex toys decisamente hard, sognandola in baby doll (e pazienza se lei mi avrebbe visto senza T-shirt e con addosso i miei penosi slip o, peggio ancora, con i boxer taglia small). I giorni passavano. Mi distraevo ascoltando qualche hit della top ten sulla digital radio (adoro il Country e il Rock), vedendo film thriller e western nel pc e leggendo instant book. Il magazine no; era ancora chiuso nel suo cellophane. Per fortuna, il brainstorming finale con i Manager ci permise di raggiungere il top. Si fece l’accordo e i miei benefits crebbero. Siccome sono politically correct, divisi tutto con il mio staff che mi tributò una standing ovation e festeggiai con un bel hamburger e un Mc Chicken accompagnato da diet coke. Sul web la news si diffuse rapidamente e io, che non sono esterofilo, fui orgoglioso di un brand che avrebbe rilanciato il Made in Italy. Chiamai felice mia madre che mi disse: «Che fioeu che g’oo» («Che figlio che ho», traduco per chiarezza del testo n.d.r.). «Bye, bye mamma».