Albertazzi, solo un Grande Italiano
Sarebbe troppo confidenziale dire: ‘’ciao Giorgio’’! Eppure Albertazzi è stata l’immagine plastica di cosa sarebbe potuta diventare questa misera e codarda italietta. Ho sempre visto in lui il lato rilucente e perciò familiare di un Paese decadente e senza speranza e quindi il ‘tu’ sarebbe, in fondo, solo una sorta di illusorio desiderio di vederlo in vita; magari per riscattare con i versi di Borges o di Goethe le nostre miserie quotidiane.
Albertazzi non è mai scivolato nel cattivo gusto e nella perversione narcisistica che prima o poi tocca come un mannaia grandi e piccoli abitatori di questa terra. Era la sintesi di tutto ciò che poteva essere o diventare l’Italia. Un Paese superbo e non altezzoso; fiero della sua letteratura e delle bellezze artistiche; che per un settantennio non rincorre spergiuri e rinnegatori di ogni risma senza dignità del proprio passato e dei propri errori. Insomma, una Italia libera, anarchica perché non bigotta e pronta a difendere la sua tradizione culturale. Tra i pochi a non aver rinnegato l’appartenenza alla Repubblica Sociale e, forse l’unico, insieme a Carmelo Bene, ad infischiarsene dei cori ruffiani che la melassa italiota tributava a Vittorio Gassman che sempre anteponeva il sé recitativo al testo. Gli rinfacciò con garbo la recitazione ostentata, ma non ne fece mai una battaglia rancorosa.
Albertazzi fu uno dei pochi a portare i classici della letteratura, intrisi di passioni erotiche, carne, sangue e delitti, in quella televisione pubblica degli albori ancora imbracata nelle calzamaglie democristiane.
E poi la poesia, la sua compagna di viaggio. Un oltre indefinito vagante tra il sacro fervore di una cultura ‘alta’ e il delicato erotismo delle sue passioni: le tavole del palcoscenico e le donne.
E forse quel reiterare le vicende più o meno romanzate dell’imperatore Adriano tratte dalla straordinaria opera della Yourcenar furono l’implicita ammissione, nell’ultima parte della sua vita ed almeno per una volta, che vi potesse essere un impasto soprannaturale tra arte e vita. Una osmosi totale con quel testo dove Albertazzi fu Adriano; e fu anche Marguerite. Uno e trino come mai.
Qualunque congedo pubblico gli sarà concesso in queste ore dalla cosiddetta élite culturale e qualunque funerale laico sarà sempre poca cosa. Non so cosa si inventeranno. Sono certo che si leveranno al cielo inni di gloria post-mortem. So di certo che è morto un Grande Italiano.