La nostra lingua è sempre più conosciuta ed amata. Strano, ma vero! Ha scalato un’altra posizione ed ora è la quarta più studiata al mondo. Non male! Studiata non vuol dire però parlata. In quella speciale classifica siamo messi male ma che nel mondo ci sia tanta gente che abbia voglia di studiare il nostro complicato idioma ci dovrebbe comunque inorgoglire. Il dato è confortante e segnala una inversione di tendenza con correlati di vario tipo sul medio e lungo periodo.

E allora, cari amici internettiani, non capisco perché continuate ad accanirvi sui pizzi e i merletti di Agnese, sulla gonna di Michelle o sulle battutine di Renzi. Sento e leggo troppa ironia e troppo astio su cose inutili. Questa visita americana del nostro Premier sta dando la stura a tanti, contemporaneamente esperti di alta moda e di geopolitica, di politica economica e galateo istituzionale.

Piuttosto mi preoccuperei di altro. Per esempio del fatto che politici di destra o di sinistra con importanti incarichi continuino imperterriti a comunicare, o almeno tentino di esprimersi, con la loro controparte istituzionale sempre e comunque in inglese.

Ignorano che è da provinciali dare sfoggio in pubblico della conoscenza di un’altra lingua. Lo facciano in privato e parlino semplicemente la lingua di Dante. Non si affannino invano. Avranno occasioni in cui lasciarsi andare a confidenze grazie alle quali poter sfoggiare la preparazione linguistica. Ma nei colloqui tra Capi di Stato o di Governo, tra ministri, o qualunque altro profilo istituzionale che rappresenti la Nazione, il minimo che si possa fare è parlare la propria lingua.

Non è solo un fatto di identità ma di dignità perché essi non sono in viaggio-premio a conoscere gli zii d’America ma a rappresentare l’ITALIA e gli Italiabbbbbni.

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