Che divertimento, Trump.
Donald Trump lo giudicheremo dagli atti, così come dovremmo abitualmente fare per ogni uomo politico. Anche perché, da italiani, sappiamo bene quanta acqua passi sotto i ponti tra la rilucente retorica, le promesse sfavillanti e ingannevoli della campagna elettorale quasi sempre al pari di quelle pratiche pubblicitarie che si usano in commercio e la spicciola e opaca realtà dei fatti.
Lo giudicheremo dai fatti concreti, valutando la produzione legislativa del suo esecutivo e l’impatto positivo o negativo che avrà sulla politica internazionale, sulla economia interna, sul terrorismo e su mille altre vicende.
Eppure, un risultato lo ha già raggiunto. Ci sta facendo divertire da pazzi. Con i soli annunci è riuscito a coalizzare un vasto fronte di critici come negli Usa non se ne vedeva da tempo. Star di Hollywood al gran completo, neofemministe saltate fuori da sarcofagi polverosi, neri, ispanici, comunità LGTB (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), giovani rampanti, vecchi arnesi clintoniani, black block e antagonisti vari. Tutti contro il mostro e tutti rigorosamente politically correct.
E ci sta facendo divertire perché, pur con tutte le differenze del caso viste le dimensioni e l’importanza degli Usa, tali vicende le abbiamo vissute nel 1994. Ed essendo vaccinati, comprendiamo con matura consapevolezza e una certa dose di leggerezza il caos mediatico di queste ore. Di certo ricorderete che quando Berlusconi scese in campo con leghisti e postfascisti si creò la medesima frattura. Da una parte, i salotti buoni, gli intellettuali, i giornaloni, le tardo femministe, i girotondini, i dissidenti, i centri sociali, i partigiani, i vecchi tromboni della politica, gli industriali e dall’altra i barbari da civilizzare.
Abbiamo dunque già vissuto la guerra civile permanente ma sappiamo che ora il film si proietta su scala più ampia e con straordinari effetti speciali tipici della cultura yankee. Almeno per questa primissima fase, quando lo scontro per ancora un po’ di tempo sarà tutto interno a quel Paese e Trump non avrà ancora messo mano alla politica internazionale, ce lo godremo con cinismo. Poi si vedrà.
Intanto, ci diverte leggere di stilisti che non vogliono ‘vestire’ la first lady; di giornaliste e giornalisti, anche italiani, che fanno appello a tutto il loro vocabolario per esaltare grazie alla struggente ricerca di svenevoli aggettivi l’era obamiana e invece decrittare in termini negativi e riprovevoli l’incipiente fase trumpiana.
Ci diverte vedere i critici della globalizzazione, andar contro l’unico Capo di Stato che per ora esalta il protezionismo economico. E quindi, in teoria, un leader politico che dice le loro stesse cose.
Ci diverte assistere a questo imbarazzante teatrino in cui il Presidente degli Stati Uniti d’America viene accusato in un sol colpo di essere fascista, razzista, omofobo, maschilista, intollerante, nazionalista, evasore fiscale e privo di qualunque cultura politica.
Ci divertono quelle donne sempre pronte a difendere “la categoria’’ che invece adesso si lanciano in tirate moralistiche e poco eleganti sulla signora Trump, su Ivanka e le altre figlie.
Ci siamo divertiti tantissimo nel guardare l’Inauguration Day, il giorno del giuramento, quando la telecamera indugiava su volti e sorrisi forzati della famiglia Bush, dei Clinton, delle più alte autorità.
E ci diverte sapere che la più grande democrazia del mondo abbia votato Donad Trump.