Su Dj Fabo facciamo tutti un passo indietro
Fabiano Antoniali, conosciuto come Dj Fabo, diventato cieco e tetraplegico per un incidente stradale avvenuto nel 2014, ha scelto di farla finita. Accompagnato dal radicale Marco Cappato, ha deciso di porre fine al suo strazio recandosi in una clinica Svizzera per il ‘suicidio assistito’.
Dal giorno di quel maledetto incidente veniva alimentato con sondino e costretto a letto. E fin qui le cose sembrerebbero ‘normali’ nel senso che potremmo definire la sua vicenda come altre che passano per un po’ sotto silenzio e poi, purtroppo, si infilano nella sommaria sintesi dell’ideal-tipo, nella compendiata catalogazione che invece potrebbe andare bene per gli oggetti ma non per gli essere viventi. Perché, pur conoscendo l’infelicità e lo strazio di tali vite, facciamo finta di niente finché non esplode il ‘caso mediatico’ e siamo pronti a tirarle fuori da quei generici canoni.
Ecco perché è spiazzante una delle sue ultime interviste televisive dove il fatto personale assume una veste del tutto nuova e impone ad ognuno di noi, riserbo e riflessione intima.
A chi gli chiedeva spiegazioni, Fabo aveva infatti risposto con laconica mestizia: <<Prova tu a stare in un letto, cieco, immobile, legato mani e piedi, per sempre. Non resisteresti una settimana>>.
Dinanzi alla potenza di una simile confessione non sono riuscito ad andare oltre e mi sembrava offensivo rispondere con le certezze che imporrebbe la mia fede cattolica. Ho tuttavia provato a tirare le somme delle mie convinzioni e mi sono accorto che non posso in alcun modo esprimermi sulla sua sofferenza ed imporgli nulla. Non me la sento di tirare fuori reminiscenze teologiche o catechismi vari come fanno in queste ore tanti cattolici in sedicesima per condannarlo.
Penso a lui solo come uno sventurato essere umano e alla sua straziante e violenta confessione e non mi infilo in generiche catalogazioni o asserzioni apodittiche. E non voglio mettere in mezzo la Religione o lo Stato, la Fede o la Laicità perché non voglio cadere nel tranello miserevole in cui cade questo nostro strano Paese dove nessuno è incuriosito da queste vite ‘al limite’ e dalle gigantesche pene dei loro familiari fin tanto che esse non acquistano visibilità mediatica. Tant’è che, una volta salite agli onori della cronaca, subito partono prese di posizioni strumentali esito di un manicheismo a dir poco vomitevole. Nel caso specifico, al silenzio si è infatti sostituito un iniziale brusio e poi prese di posizione via via sempre più inflessibili e dure. Da una parte, i radicali e quanti sostengono le ipotesi di libertà personale, pronti a circoscrivere con commi e articoli di legge, tempi e modi per definire la fine ultima di ogni cittadino, e dall’altra quelli che hanno certezze di fede e le accompagnano non raramente con un ingiustificato tono inquisitorio. Non si è sottratto l’Avvenire, che ha contrapposto in maniera macabra la vicenda straziante di un giovane imprigionato più o meno nelle stesse condizioni di Fabo e che lo invitava a desistere dal suo scopo. Come se il dolore e la sopportazione fosse possibili parametrarli con codici definiti ed identici per tutti.
Insomma, un gioco al massacro cui preferisco non partecipare perché non ho certezze assolute e poi perché faccio fatica a fare miei inutili predicozzi. E mi infastidiscono oltre il consentito pure coloro i quali mischiano più piani di analisi addirittura facendo comparazioni di ordine etico con l’aborto o cose simili.
Resto dell’opinione che lo Stato debba fare un passo indietro. O per essere più precisi, lo Stato non dovrebbe entrare in simili vicende perché talmente labile è il confine tra ideologia, credo religioso e sofferenze personali che meglio sarebbe per tutti che le istituzioni si tenessero fuori.
Da cattolico non comprendo i cattolici che con tanta boria e l’utilizzo di aggettivi sgradevoli accusano gli altri di essere dei suicidi e perciò peccatori da spedire all’inferno. Allo stesso modo non comprendo e mi infastidiscono le inderogabili certezze dei ‘laici’ che vorrebbero ‘legalizzare’ una scelta che è del tutto personale, intima, dissimile da individuo a individuo.
Alcuni anni fa feci una intervista a Roger Scruton, uno dei massimi rappresentanti del pensiero conservatore occidentale e gli chiesi cosa ne pensasse: <<Sull’eutanasia – mi disse — ho una visione abbastanza complessa. Credo che alcune cose dovrebbero essere considerate dei crimini, anche se si hanno tutte le ragioni per commetterli, perché quella volta che vengono rimossi dal libro dei crimini, si comincia ad abusarne. D’altra parte, però, quando le persone soffrono molto e la vita diventa insopportabile, si è scusati se li si aiuta a raggiungere il loro obiettivo di morire velocemente>>. E quando gli chiesi di specificare meglio, mi rispose: <<Direi che il sollievo dalle pene è più importante che estendere la vita, quando non ci sono speranze di guarigione. Se poi ci dovesse essere una legge che autorizza l’eutanasia, allora sarebbe un’altra cosa. Ma, finché è possibile, è meglio evitare una legge>>.
Ecco, evitiamo di perderci intorno ai codici e alle norme scritte.
Sono convinto che il Padreterno, se mai esista, avrà comprensione per tutti noi.