Ma è davvero questo il mondo che immaginate? Sul serio credete che, prima o poi, i folkloristici forconi non possano diventare qualcosa di più risolutivo e, una volta per sempre, la si faccia finita con questo andazzo?

Leggo sui quotidiani di una inserzione di lavoro. Un’azienda torinese che lavorerebbe tra gli altri anche con Allianz, Intesa Sanpaolo, Fiat, Johnson&Johnson, Poste, Unicredit, richiede per un profilo specifico una laurea magistrale in ingegneria civile oppure edile; età compresa tra i 24 e i 30 anni; conoscenza corretta di un paio di lingue e di programmi di progettazione e dimensionamento (Autocad 2D/3D, Edilclima, ecc.); disponibilità per trasferte in Svizzera (Ginevra); e mille altre cose di vario tipo.

Il tutto, però, per 600euro al mese. Da prassi, il responsabile ha subito smentito e ha parlato di errore. <<Si tratta  – ha detto – di uno stage d’ingresso di sei mesi, che potrebbe essere convertito poi in apprendistato. Nel pieno rispetto della normativa di legge nazionale e regionale>>.

Tuttavia la questione è anche questa. Bisogna decidersi se il lavoro – come tutti si affrettano a dire in ogni circostanza – è anche un mezzo di affermazione della propria dignità sociale. Se cioè il binomio tra dignità e occupazione è ancora inscindibile oppure è diventato qualcosa d’altro. Perché la situazione attuale è chiara e sotto gli occhi di tutti, e per una volta si mettano da parte grafici, tabelle, numeri, ricette economiche; a parlare sono le facce frustate e deluse delle persone costrette a svolgere lavori degradati, con orari assurdi e sotto pagati. E quando non è così, cioè quando si accettano lavori ‘normali’ lo si fa nella implicita consapevolezza di dover ricevere paghe basse e contratti capestro. E a parlare sono sempre le loro (‘le nostre’) facce.

A tutto ciò, va aggiunto che in non rari casi la precarietà dura tutta la vita, o per gran parte di essa. Si è precari a tempo indeterminato. Si è precari negli stage e nel lavoro.

Ecco, voi chiamatelo come volete. Libertà economica, progresso, modernità, futuro.

Io lo chiamo schiavismo.

 

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