Fine della politica o nuovo inizio
La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate finora. Da mezzo secolo non riusciamo a smuoverci di un centimetro dalla massima di Churchill. Eppure si agita un inatteso malessere verso processi decisionali sempre meno rappresentativi grazie al fatto che la pericolosa china discendente ha avuto inizio ben prima di questa crisi economica apertasi nel 2007 e si sta radicando in ampi strati della popolazione. Di conseguenza, è pura illusione ritenere che l’incremento di qualche punto di Pil potrà eliminare il discredito nei suoi confronti.
Come scrive Giovanni Orsina nella introduzione de La fine della politica (Historica, p. 163), libro scritto da Lorenzo Castellani e Alessandro Rico, gli attuali processi di rappresentanza democratica sono infatti stretti nella morsa del capitalismo globale e di mercati finanziari che stanno contribuendo in maniera determinante alla mutazione della sovranità politica degli Stati nazionali e alla depoliticizzazione. E allora il punto è capire quali possano essere i percorsi per dare nuova linfa ad un istituto che inizia a mostrare troppi deficit e che ormai, in maniera palese, trovandosi sballottato tra cerchie ristrette di potere (tecnocrazia) e il fenomeno del populismo con le sue rivendicazioni dal basso, tende a neutralizzare il ‘politico’.
Per i due studiosi i punti di frattura sono profondi: 1) l’aumento della domanda di partecipazione dell’elettorato attraverso le nuove tecnologie alla vita pubblica; 2) l’incremento della distanza tra le aspettative dei singoli cittadini e la capacità di soddisfarle da parte dei governi, e la messa in crisi dei sistemi di welfare; 3) la moltiplicazione dei centri di sovranità attraverso cui vengono prodotte decisioni; 4) la crescente influenza delle decisioni giudiziarie nella vita politica delle democrazie occidentali; 5) l’importanza sempre maggiore del potere esecutivo rispetto agli altri poteri pubblici, in particolare rispetto al potere legislativo.
La fine della politica si interroga dunque sulle radici del malcontento e sulle insufficienze democratiche ma si muove, al contempo, alla ricerca di possibili soluzioni sul medio-periodo. Lo sguardo analitico adottato da Castellani e Rico è per tanti aspetti condivisibile. Le soluzioni, invece, attengono più alla speranza che alla tangibilità dei fatti. Ma ciò vale per i due studiosi così come per tutti coloro che tentano di immaginare una chiave di volta che possa in un sol colpo cancellare deficit strutturali.
Eppure, una base di partenza esiste e i due ritengono di averla individuata. L’aver spinto all’estreme conseguenze l’idea che la società contemporanea potesse fare a meno di un nucleo di tradizionali valori fondanti ha fatto sì che se ne creassero di nuovi, che assumessero però forme e sostanza del politicamente corretto in cui tutto far confluire. Questo è un punto discriminante che Castellani e Rico identificano nella ‘utopia della depoliticizzazione’. Vale a dire nel fatto che il primato dell’economico e la religione della globalizzazione connessi alla crescente influenza degli incarichi non elettivi sarebbero gli elementi più pericolosi in grado di determinare l’avversione dei singoli cittadini verso l’istituto democratico: <<la dittatura della tecnica, dell’economia e della burocrazia integra la più subdola forma di snaturamento dell’autonomia, il valore che pure dovrebbe stare a cuore a molti liberali contemporanei: dal regno dei fini, lo spazio della volontà che risponde solo al dovere riconosciuto da leggi morali autoimposte, si scivola verso il regno della necessità, dove non c’è più spazio per la decisione e bisogna solo ratificare provvedimenti dettati da criteri eteronomi, siano essi la crescita, il controllo della spesa, il rapporto deficit/PIL>>.
C’è una soluzione immediata ma non definitiva. Un utile compromesso tra il bisogno di un potere pubblico più efficace e la salvaguardia delle libertà che sono alla base dello sviluppo economico. Si tratta, insomma, di amalgamare logica dei mercati globali e logica della democrazia.