C’è l’Italia dei furbi e quella dei fessi, diceva Prezzolini. E io sto in quella dei fessi. Sarò stato, talvolta, pure un furbetto ma di dimensioni talmente trascurabili che, in linea di massima, se proprio devo esser sincero, non riesco a fare un risolutivo salto di categoria e quindi aderisco con convinzione a quella dei ‘‘fessi’’.

C’è poi un’altra dicotomia, quella tra l’Italia che ‘‘funziona’’ e fa star bene i propri cittadini e quella che ‘‘non funziona’’ e progressivamente li fa sprofondare all’inferno. Anche in questo caso, faccio parte del secondo schieramento. E da ”terrone”, un pizzico scaramantico, ho la sensazione che forse sia io il problema se finisco sempre dalla parte sbagliata.

Della prima andiamo orgogliosi. Penso, per esempio, alla vicenda relativa al professore Michele De Luca dell’ospedale di Modena. Coltivando, infatti, una ‘‘pelle corretta’’ in laboratorio dal suo difetto genetico, la sua equipe è riuscita a trapiantarla su un bimbo colpito da una malattia genetica chiamata ‘‘epidermolisi bollosa giunzionale’’. Malattia che aveva reso la sua pelle fragile come quella di una farfalla. E perciò un bimbo senza speranza, in fin di vita e in coma farmacologico rivede ora nuova luce. Lui e i suoi familiari. Tutto questo grazie ad una parte del Paese che crede ancora nel futuro.

Della seconda ci vergogniamo ma non in misura adeguata perché intimamente ne avvertiamo non poche corresponsabilità. Un’Italia che devasta l’ambiente, svilisce il ruolo della Sanità pubblica e se ne infischia della salute dei propri figli in un groviglio di colpe di cui è difficile venirne a capo. Il riferimento è alla Terra dei Fuochi e a quell’enorme lembo di terra tra le province di Napoli e Caserta. Da ieri, grazie alla commissione Sanità del Senato, ogni cittadino può sfogliare una relazione di 156 pagine frutto di un’indagine conoscitiva durata quattro anni e che ora ci svela livelli record di patologie tumorali. Da questa enorme catalogazione scientifica di dati viene fuori un esito agghiacciante che, per chi vive in quelle zone come il sottoscritto, marchia con numeri e statistiche una realtà già nota. E così si legge per la prima volta che «nell’area dei 90 comuni ricompresi nel perimetro della cosiddetta Terra dei Fuochi, l’aumento della mortalità complessiva per cause riconducibili a tumori è nettamente più elevato rispetto a tutte le altre regioni del Mezzogiorno» e aggiungo, di risulta, anche del resto d’Italia. Ma, per la prima volta, sono i dati a parlare e non le rivendicazioni dei residenti, spesso considerati alla stregua di folli esagitati pronti ad amplificare una condizione di pericolosità ritenuta nella norma.

Questa serie di numeri snocciolati dalla commissione del Senato, letti uno per uno, fanno rabbrividire e dovrebbero mettere finalmente a tappeto anche i più cinici tra gli increduli di professione. Vale a dire coloro i quali in tutti questi anni hanno confutato un atroce grido di dolore circoscrivendolo nel campo sempre affollato degli inutili allarmismi mai sostanziati da dati concreti. Magra consolazione, verrebbe da dire; ora i dati ci sono e, in fin dei conti, poco importa che avevamo ragione noi e loro torto.

Oltretutto, visto che in termini di prevenzione si continua a fare poco o nulla, che pure negli ospedali più importanti della Regione non raramente i malati sostano per settimane sulle barelle in mancanza di letti, che la classe dirigente continua a blaterare sul sesso degli angeli e su un futuribile piano complessivo di risanamento e che i residenti, me compreso, non si sollevano con forza, decisione e durezza, non vi può essere che un solo finale di cui già ne avvertiamo i prodromi: lo sterminio di massa.

Lo dicono i numeri.

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