C’è sempre un agguerrito drappello di difensori della democrazia a sorvegliare il fortino. Ormai bisogna farsene una ragione. Sono tesi come corde di violino, pronti ad agguantare ogni singola fuoriuscita dal percorso originario, trovando l’increspatura in ogni singola riga, in ogni dichiarazione pubblica, in ogni atto che provenga della propria controparte culturale e politica. E facendo poi deflagrare questa facezia in un contrasto di dimensioni bibliche e quindi decrittandola nella più antica battaglia morale dell’evo moderno, quella per la difesa dei valori antifascisti.

Stavolta è toccato alla fondazione Feltrinelli che, dopo aver organizzato una serie di incontri su temi di carattere filosofico-politici e sulla dicotomia destra-sinistra («Cos’è la destra/Cos’è la sinistra»), si è vista costretta a rinunciare. Con una lettera-appello, alcuni docenti universitari e ricercatori internazionali si sono schierati apertamente contro la presenza di Alain de Benoist perché, a loro dire, le idee del francese sarebbero diffuse nei gruppi radicali di estrema destra. Al contrario, avremmo potuto dire: cari firmatari, il vostro appello non può essere accolto perché i vostri libercoli vengono letti anche da frequentatori di centri sociali e non sono attendibili. Ma non lo abbiamo fatto.

Una follia, dunque, che però è servita a far cancellare la conferenza. Alla fine, avvisato il filosofo francese della sua non gradita presenza, i valorosi difensori della democrazia, di cui in gran parte si ignora la produzione scientifica e qualità e diffusione del lavoro accademico, si sono sentiti liberati da una indigesta zavorra e hanno cantato vittoria. Non va ignorata, tuttavia, la protervia dei tanti lacchè italiani che, a decine, si sono peritati di rincorrere i firmatari dell’appello e con interviste e dichiarazioni pubbliche hanno espresso (e stanno esprimendo in queste ore) concordanza e solidarietà ai dodici sottoscrittori dell’appello.

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Una ciurma sempre identica che vediamo settimanalmente all’opera con la pretesa di sputare sentenze nel migliore dei casi, senza mai rimuginare sul fatto che la democrazia si fonda sulla contrapposizione dialettica, sullo scontro regolato. E, soprattutto, sulla premessa costitutiva che chi non la pensa come te, non è un bieco reazionario o un istigatore di violenza ma è solo l’altro puntello su cui, appunto, poggia le fondamenta l’intero istituto democratico.

Oltretutto, Alain de Benoist è l’esatto contrario dell’agitatore di folle o dell’ideologo alla moda, di quello che cioè spara dichiarazioni demagogiche per accattivarsi l’uditorio. Egli è sulla scena culturale da più di un trentennio. Ha prodotto centinaia di libri, migliaia di pubblicazioni tradotte in varie lingue del mondo, rilasciate centinaia di interviste. Gira per conferenze, dirige riviste, pubblica articoli, partecipa a seminari universitari. Insomma, fa tutto quello che non fanno i firmatari di casa nostra che sono soliti servire da paggi i più potenti, per poi riscuotere prebende dopo le elezioni vittoriose della loro parte politica e magari oziare in qualche comodo Consiglio d’Amministrazione di qualche società controllata dal Governo.

De Benoist non è l’intellettuale (…se questo termine ha ancora un senso) da talk show, capace di circoscrivere un pensiero nella breve e asettica arena televisiva. Ha avuto un percorso che lo ha portato a mutare dei posizionamenti, a maturarne altri, a tralasciarne alcuni, ma sempre con corredo di una produzione saggistica imponente a supporto, a volte anche debordante, ma proprio per questo esaustiva.

Non comprendiamo, invece, come facciano certi firmaioli a porre il loro sigillo di liceità, moralità, rettitudine e quant’altro su ogni questione o tema di dibattito pubblico, e come poi pretendano in un battibaleno di imporre la loro direzione di marcia a tutti quanti. O meglio lo comprendiamo, e perciò abbiamo per loro molta compassione.

Che vita grama! Che noia mortale muoversi sempre nell’alveo comodo e ristoratore del pensiero unico. Sempre intruppati nel finto esercito di liberazione nazionale e mai fuori dal coro, a respirare aria diversa e magari salubre.

 

 

 

 

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