Gli eroi di Carlyle
La storia non è il racconto di fatti e memoria di date: è, invece, quella fatta dai grandi uomini guidati dalla potenza evocatrice dei valori spirituali. Dante, Cromwell, Maometto, Napoleone: uomini politici e riformatori religiosi, condottieri e poeti sono i veri e gli unici protagonisti del rinnovamento dell’umanità. Solo nel culto degli eroi essa può ritrovare i valori più autentici.
Questo è quanto scriveva Thomas Carlyle nella sua opera più famosa, Gli eroi, che viene ora ripubblicata dalle edizioni Oaks (p.371, euro 17) con un mio saggio introduttivo cui la parte finale ripropongo nel brano che segue.
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La sua opera resta infatti debitrice della costruzione teorica più famosa, quella dell’eroe. Ma, tale questione, nonostante i viluppi culturali derivati anche dalle varie frequentazioni, viene decifrata attraverso canoni sbrigativi, da consentire, solo in pochi casi, ulteriori approfondimenti che vadano più in là di una consolidata vulgata.
Eppure, in linea di massima, un’altra traiettoria teoretica può essere abbozzata. L’umanità può riscoprire i valori potenti e autentici attraverso questo rifondatore, l’eroe, sia esso condottiero politico, profeta o poeta, il quale in ogni epoca riesce a svelarci un tragitto, un percorso da compiere. E ciò accade quando sembrano calare le tenebre. Ma capita, talvolta, che quest’ultime calino per mezzo proprio dell’eroe, così come il Novecento ci ha mostrato.
Questa è, forse, la chiave di volta delle critiche che gli vengono rivolte ma da cui, a questo punto, traspare una condivisibile traiettoria. Nel giro di due secoli, e cioè in un breve frammento di Storia, siamo passati dalla definizione hegeliana dello Spirito del mondo nelle sembianze del Napoleone trionfante, transitati nel frattempo per l’idea che fossero le masse a mobilitarsi autonomamente (quando invece sappiamo che anche in quel caso, dovremmo far riferimento a ‘singoli’: a Lenin, a Stalin, eccetera), fino alla rinnovata esaltazione per i leader carismatici e mediatici dei giorni nostri (derivazione degenerata in cliché, grazie alla friabile essenza delle democrazie moderne). E allora, anche se non si direbbe, è proprio tale fallace articolazione a far risaltare ancor di più gli ambiti e le diramazioni oltre che i confini della teoria carlyniana. In tutto questo procedere pare evidente che, sopra gli altri, si stagli sempre un ‘singolo’ e la sua lezione può sollecitare rinnovati interessi se si intercetta primariamente attraverso una dimensione estetica e religiosa, ma in una visione ulteriore e complementare rispetto a quelle poc’anzi citate.
Per fare in modo che la storia non sia «un distillato di rumori», come egli amava ripetere, c’è infatti sempre «bisogno dei grandi uomini» all’interno di un percorso di comprensione collettivo nel quale, l’incarnazione di questi grandi uomini, sia imprescindibile per una massa che si accinge a compiere un subitaneo ed improvviso sommovimento. Ma il tutto compenetrato in un perimetro organico che vada oltre la mera contingenza politica, attraverso, appunto, una circolarità tra la figura dell’eroe che fa la prima coraggiosa mossa ed una antropologia sociale e culturale pronta a preparare il terreno e poi a renderlo fertile.
http://www.oakseditrice.it/libri/passato-presente/gli-eroi.html