L’ossessione del politicamente corretto
Vari concetti utilizzati nel dibattito pubblico sono potenti da incidere fortemente nelle singole vite di ognuno. Eppure l’unica vera ossessione del nostro tempo è rinserrata nella magmatica formula del politicamente corretto che tutto ricomprende.
Una mania tramutatasi, nel giro di qualche decennio, in ideologia, e perciò in pratica politica. Un modello censorio e totalizzante capace di delegittimare l’avversario tacciandolo con reiterati cliché (razzista, antidemocratico, xenofobo, sessista, intollerante). Una ortodossia che, attraverso censure e divieti, esercita coercizione pure sul lessico, con una potenza di fuoco che è stata capace di piegare tanti di coloro i quali si pregiavano di essere degli anticonformisti.
Ossessione che ha indotto commediografi a riscrivere testi come è capitato alla Carmen, a criticare un quadro di Balthus per presunta pedofilia, a cacciare dalle università insospettabili come Ovidio, a depurare opere come quelle di Mark Twain per l’utilizzo della parola ‘negro’, o a vivisezionare versi della Bibbia.
Di questo atteggiamento sprezzante ne fa un ritratto rigoroso Eugenio Capozzi nel suo Politicamente corretto. Breve storia di un’ideologia (Marsilio, p.208) sintetizzandolo attraverso tre nozioni (ipocrisia, stereotipo tenace e schizofrenia) ma sopratutto tentando di inquadrarne le future traiettorie.
Lo storico si sofferma il giusto sulla trita e ritrita descrizione del politically correct, mentre prova invece a leggere la svolta recente. Perché grazie anche alla onnipervadenza dei social si starebbe prospettando un cambio di direzione, per adesso visibile solo in superficie, e proprio attraverso la diffusione di quelle forze politiche che definiamo populiste e sovraniste.
Tuttavia, non una ribellione culturale strutturata visto che questi movimenti si muovono essenzialmente su una serie composita di opposizioni: le ansie dei ceti medi impoveriti legate alla perenne crisi economica, all’espropriazione di sovranità nazionale, alla mancanza di sicurezza e ai disordini creati dai fenomeni migratori. Ma che essi abbiano fatte proprie tutte le rivendicazioni politicamente scorrette rappresenterebbe un cambio di marcia evidente.
E arrivati a questo punto, vi sarebbe da chiedersi se non sia utile capire i motivi per i quali per la prima volta nella storia recente dell’Occidente questo moralismo straripante subisca una forte battuta d’arresto.
La tesi di Capozzi è chiara. Il politicamente corretto, rappresentazione plastica della ideologia di un blocco sociale e di una classe dirigente progressista che ha segnato le nostre società per più di mezzo secolo con una narrazione che si è imposta in ogni campo presentandosi come dottrina pubblica ufficiale, avrebbe esso stesso contribuito a costruire per contrasto, tassello dopo tassello, la contro ideologia e contro-narrazione del «politicamente scorretto».
Resterebbe solo da intendersi sul passo successivo: vale a dire, comprendere se questo declivio del politicamente corretto sarà apparente o definitivo, sostituito dalla cultura di questi movimenti populisti o come più probabile da una nuova sintesi.