Elémire Zolla tra tradizione e critica sociale
Il volume di Lorenzo Morelli offre al lettore una ricostruzione critica e ragionata dell’opera di Elémire Zolla – tra i protagonisti più eclettici ed eccentrici della cultura italiana del Novecento – e ha il pregio di far emergere il significato lato sensu politico di un pensiero dichiaratamente antimoderno, in cui la Tradizione rappresenta indubbiamente la pietra angolare. Coniugando l’analisi dell’opera di Zolla con la ricostruzione biografica e del contesto storico, culturale e politico nel quale egli ha agito, l’autore riesce a rendere un quadro fedele e circostanziato di un’avventura intellettuale fuori dal comune, il cui significato profondo è estremamente attuale.
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Una decina di anni fa , il cattolico integralista Rodney Stark pubblicò un’opera di dossologia mascherata da sociologia storica nella quale proclamò, con l’arroganza che lo ha sempre distinto, che era giunta l’ora che gli studiosi riconoscessero che il paradigma della secolarizzazione andava portato “al cimitero delle idee sbagliate”.
Non di questo avviso è Lorenzo Morelli , la cui brillante ricostruzione dell’iter speculativo di Elémire Zolla si basa sull’idea che , a partire dal Rinascimento, il mutamento storico più decisivo è stato la transizione dalla Città sacra alla Città secolare. In effetti, con la secolarizzazione si è notevolmente indebolita la capacità del cristianesimo di mantenere vive le verità perenni e spirituali. Di qui quel fenomeno – la progressiva erosione della potenza normativa della Sacra Tradizione – che , a giudizio di Zolla , aveva impoverito spiritualmente gli abitanti dell’Occidente. Di qui , altresì, il rifiuto del mondo moderno espresso in forme così radicali da relegare Zolla in una sorta di ghetto culturale . Il che non indebolì punto la sua vis polemica; anzi, la rafforzò e rese ancor più estrema la sua critica della Modernità. Tant’è che questa – come documenta puntualmente Morelli – assunse le forme della civitas diaboli : un mondo irrimediabilmente perduto, abitato da uomini smarriti che chiedono una guida intellettuale e morale senza speranza alcuna, dal momento che i valori della Sacra Tradizione sono stati annichiliti dal processo di secolarizzazione .
Chi scrive non può certo condividere una siffatta immagine della Modernità. Non lo può perché nei suoi studi ha sottolineato — e con grande vigore – la funzione emancipatrice del processo di modernizzazione. Nello steso tempo, però, ha costantemente tenuto presente la prognosi sul destino della civiltà in cui e di cui viviamo formulata da Gino Germani.
La Modernità – era solito dire Germani – è inscindibile dal processo di secolarizzazione . Questo consiste nel fatto che ogni cosa viene messa in discussione e tradotta di fronte al “tribunale della ragione”. Conseguenza ineludibile : l’affievolimento o addirittura l’evaporazione della sacralità e quindi della intangibilità dei valori, delle norme , delle istituzioni e dei modelli di comportamento ereditati dal passato.
E’ vero che , proprio grazie alla secolarizzazione , gli Occidentali sono usciti dallo stato minorile emancipandosi dalla paternalistica tutela del Sacerdotium ( il potere spirituale del clero) e del Regnum ( il potere temporale dei principi); e sono riusciti ad istituzionalizzare quel sistema di libertà e di diritti che ha permesso la transizione dal paradigma della sudditanza al paradigma della cittadinanza. Ma può la secolarizzazione – questo era l’interrogativo che stava al centro della sociologia di Germani — espandersi illimitatamente senza produrre quel vuoto normativo che Durkheim chiamava “anomia” ? La teoria sociologica ci insegna che la piena vigenza di un sistema di credenze e di valori condivisi è il cemento spirituale di ogni società , ciò che trasforma un aggregato di individui in una comunità morale animata da un idem sentire. Il che significa che nessuna società – e tanto meno la società moderna , il cui fisiologico funzionamento esige l’accettazione e il rispetto delle regole che disciplinano la conquista e l’esercizio del Potere pubblico – può prescindere dalla presenza attiva di quell’ insieme di valori, di norme e di ideali che è, per l’appunto, la Tradizione.
Appare, quindi, evidente la contraddizione insita nella illimitata espansione della secolarizzazione. Se anche il nucleo ideologico prescrittivo viene aggredito dagli acidi corrosivi della critica, è la base stessa della integrazione sociale – il consensus – che viene ad essere intaccata. Tutto diventa lecito proprio perché , in punto di principio, tutto è discutibile. Con la conseguenza che il pluralismo dei valori , tipico della Modernità, può convertirsi in una vera e propria anarchia dei valori o , addirittura, in nichilismo. Che è esattamente quello che aveva temuto Nietzsche. Il suo annuncio — la “morte di Dio” — era un grido di dolore poiché si basava sulla presa d’atto che la scienza profana non aveva punto riguardi per i fini ultimi della vita. Donde l’inquietante condizione esistenziale generata dalla evaporazione dell’incantamento divino del mondo. Una visione tragica della Modernità, quella di Nietzsche. Come era tragica la visione della Modernità di Zolla.
Luciano Pellicani