Se chiedessimo ad un pubblico di lettori quali siano stati gli scritti più biasimati del Novecento e al centro di polemiche più furiose e incattivite, la quasi totalità di essi non avrebbe alcun dubbio: citerebbe i Quaderni Neri di Martin Heidegger. Quei taccuini rilegati – appunto, in tela di colore nero – e che riprendono annotazioni filosofiche per un periodo che va dall’inizio degli anni trenta alla fine degli anni sessanta, sono il caso filosofico e culturale del secolo. Lo scritto intorno al quale si sono mosse analisi trasversali, puntute, dotte o anche parziali ed interessate. E su questo non v’è alcun dubbio. Anche perché il triangolo nazismo, ebraismo e Heidegger, è di quelli che non lasciano scampo a valutazioni equilibrate o pilatesche. In qualunque fronte d’analisi ci si schieri il pericolo è infatti quello di bruciarsi col fuoco dal momento che, nonostante siano passati decenni, gli interrogativa – nonostante si veli tutto dietro arzigogolamenti filosofici – restano gli stessi di sempre e, per tanti versi ancora insoluti: Heidegger fu nazista? Fu antisemita? E i Quaderni neri sono una propaggine filosofica rilevante di posizionamenti che intaccarono la sua sfera personale e politica?

Come mi è capitato di scrivere anche in altre occasioni, ho il timore che non se ne possa venire definitivamente a capo. E per due motivi essenziali. In primo luogo, perché la scrittura, il filosofare, i percorsi, le inclinazioni di Heidegger sono assimilabili ad una pietra preziosa a cui si può rivolgere uno sguardo veloce o una analisi approfondita ma da diverse angolature e che, perciò, gli stessi temi e i medesimi approcci e punti d’approdo si possano confutare e contraddire a vicenda. In secondo luogo, c’è da ammettere che le sue connessioni personali dirette o indirette col nazismo, hanno fagocitato e tuttora fagocitano ogni lettura che voglia essere fredda e scientifica. Anche il testo più serio su Heidegger, gira e rigira, come in una sorta di incredibile gioco dell’oca, torna sempre al punto di partenza.

Ebbi modo di “sentire”, un paio di anni fa, Francesco Alfieri ( docente alla Pontificia Università Lateranense) per Il Giornale. Alfieri aveva pubblicato un voluminoso saggio insieme a Friedrich-Wilhelm von Herrmann (ultimo assistente di Heidegger), nel quale si mettevano in luce gli errori di traduzione e le glosse che avevano distorto il pensiero del filosofo. Per i due, molte delle distorsioni si sarebbero prodotte da termini mal interpretati come, per esempio, la parola Wüste («deserto») che non doveva essere in alcun modo legata al popolo ebraico. Ma, ovviamente, non era l’unica bizzarria segnalata. Un lavoro certosino, di traduzione e di riconversione perché il trasferimento da una versione all’altra è questione filologica, interpretativa ma anche di contenuti. E furono mesi in cui questo quadro analitico costruito negli anni da Donatella Di Cesare, una delle più assidue studiose del filosofo tedesco, fu messo pesantemente al vaglio e sottoposto a fuoco incrociato.

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Da qualche tempo è andato in stampa un volume di Matteo Simonetti, I Quaderni Neri di Heidegger. Una lettura politica (Idrovolante edizioni, p.270, euro 20) che ha il pregio di riprendere in maniera sistematica l’intero arcipelago di queste interpretazioni operando, su ognuna di esse, analisi e controanalisi sistematiche.

Ecco… se nella Prefazione di Diego Fusaro, nella Introduzione e nel Primo Capitolo… quello sull’eredità di Ernst Nolte, si ricompone lo scenario filosofico, il contesto generale, e si fa accenno ai rapporti del filosofo col nazismo, nei capitoli successivi si entra nella critica più strutturata, tentando di valutare ogni singolo approccio. E dunque ritroviamo, l’Heidegger di Donatella Di Cesare, quello di Peter Trawny, di Von Hermann e Alfieri, e poi quello di Faye, Farias, Fuchs, e ancora proseguendo, di molti altri.

Il lavoro di Simonetti è una mappa, una sorta di cartina che ripercorre gli scenari ermeneutici ma non disdegna, anzi mette al centro, personali punti di vista e di approdo. Può essere dunque letto seguendo entrambi gli approcci o, magari, mantenendo la barra dritta solo su uno di essi. Ciò che tuttavia risalta, è il taglio interpretativo che, come evidenziato nel sottotitolo, connette ogni tipo di rilettura innanzitutto al fronte politico e alla battaglia delle idee.

Per essere chiari: Simonetti non si sofferma più del dovuto sulle controversie linguistiche e di traduzione/interpretazione che, pure, sono fondamentali ed essenziali, ma volge la sua diagnosi occupando il campo della analisi politologica. Anche i rimandi a contesti, personalità e fatti che, ad una prima lettura, poco o nulla sembrerebbero avere a che fare con i Quaderni Neri e il suo contenuto, qui rientrano appieno in una logica di interconnessione grazie alla quale si tenta poi di ricomprendere i singoli posizionamenti di Heidegger. E perciò, riconduce il tutto ad una fisionomia generale in grado di tenere insieme il quadro sistemico, e di cui ne diamo un ampio stralcio, qui di seguito, riportando un brano tratto dalla sua Introduzione.

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Tutti i maggiori contributi sul tema, i quali qui tratteremo singolarmente e in maniera dettagliata, si sono risolti più o meno in un atto di condanna o di assoluzione di Heidegger, senza che però si sia speso un attimo del proprio tempo a ripensare le leggi e la casistica giurisprudenziale a partire dalle quali pronunciarsi. Heidegger ha davvero detto queste cose? Ci credeva? Dava loro peso? Quanto? Se sì, allora è derubricato a mostro e condannato al confino o alla pena capitale, se no allora avanti così, magari con qualche “aggiustamento” necessario alla sua permanenza nei sacri e segnati solchi della correttezza, intesa nella sua attuale accezione. Questo è lo stato dell’arte intorno ai Quaderni Neri, anche quando si pervenga ad esso dopo analisi che d’acchito sembravano puntigliose e assolutamente non “di parte”.

Detto in altri termini: “Se così si è davvero espresso sugli ebrei e sul nazionalsocialismo allora non è un filosofo!” oppure “Siccome è un grande filosofo allora non può essersi espresso così e quindi mi metto alla ricerca di relative pezze d’appoggio”. Questi, semplificando, i due termini della questione. Non v’è alcuno, tra i “filosofi laureati”, che si sia chiesto – dopo aver osannato il maestro per decenni e magari conformato il proprio pensiero al suo perché “fa fico” in un salotto o dalle pagine di una rivista – se magari quel grande pensatore, per giungere a dire ciò che dice partendo da premesse che io stesso condivido, abbia pensato qualcosa che io non riesco ancora a pensare. E che cos’è che non riesco a pensare e perché, a causa di cosa, non riesco a pensarlo? Eppure “ripensare”, uscendo dal “si” impersonale che paralizza l’essere, dovrebbe essere un’abitudine per filosofi sedicenti heideggeriani.

Io non sono un heideggeriano, nel senso che, per quanto sia possibile aderire al pensiero di un singolo uomo come se fosse una muta da sub, mi sento certamente più nicciano. Anche perché, lo ammetto, a mio parere il linguaggio a cui Heidegger è costretto nel tentativo di uscire dalle maglie dell’inautentico è stancante e riesce meno nel suo intento rispetto all’aforisma. Heidegger lo sa e, presentendo l’insufficienza di neologismi e ripensamenti semantici, pur necessario in un linguaggio in prosa, ricorre ad Hölderlin. Anche Nietzsche lo sa ma può ricorrere a se stesso. Un grande vantaggio, senza dubbio.

Pur non essendo heideggeriano, mi piace quando dalle elucubrazioni di Heidegger emerge d’un tratto una illuminazione che dona nuova tonalità ad un tema che mi tocca da vicino, in modo esistenziale direbbero alcuni ma magari non Heidegger. E questo succede molto spesso, frequentandolo. È come quando uno, non esperto di elettricità, ottica e meccanica, si mettesse ad osservare qualcun altro che ripara un televisore, spiegando nel contempo ciò che sta facendo (mi si passi la similitudine tecnica, quindi poco heideggeriana). Si può idealmente stargli dietro ma quando poi ricompare l’immagine sullo schermo è tutta un’altra cosa.

Personalmente, è dalla presenza dell’immagine che sono spinto all’indietro all’indagine sul procedimento. È questa, in sintesi, la maestria di Heidegger: che un signore, da solo, in una baita delle Foresta Nera ci sveli l’origine dell’attuale scadimento che ci attanaglia partendo dai modi in cui si dice “essere”. Ebbene, questo ha qualcosa di magico.

Si sarà capito che sono poco interessato all’aspetto teoretico del pensiero filosofico, ma lo sono molto a ciò che della filosofia giunge poi alla vita politica e sociale dell’individuo calato nel mondo. È cioè il mondo che va reso filosoficamente sensato e non sono le astrusità della filosofia a dover essere vivificate, come se dovessero avere per forza rispondenza nel mondo. Altrimenti hanno ragione Wittgenstein e Carnap e conviene farla finita con questo “giuoco delle perle di vetro”, il quale non mira nemmeno alla costruzione di una qualsiasi casta aristocratica, visto il ruolo marginale oggi riservato ai pensatori.

Questo saggio quindi, per calarsi nella realtà, che non significa nella quotidianità ma in un progetto di essa, prenderà in considerazione il testo dei Quaderni Neri, la letteratura critica disponibile su di essi, il pensiero di Heidegger nella sua interezza per chiarificarne l’inquadramento, ma sarà anche una messa a fuoco del periodo storico nel quale essi si situano e degli accadimenti ai quali si riferiscono.

Ad esempio mi servirò dei Quaderni Neri per mettere alla prova la vulgata storica che ci è pervenuta dal tribunale di Norimberga, dalla propaganda dei vincitori angloamericani, dai modelli e dagli stereotipi culturali da costoro promossi nell’Europa dei due dopoguerra.

Lo farò partendo dal presupposto metodologico, banale ma purtroppo non praticato, che Heidegger non fu schizofrenico. Quale sia il quadro generale della suddetta vulgata sarà chiarito strada facendo, perché è molto composito. Mettere alla prova non significa negare in toto o rifiutare, ma semplicemente ripensare criticamente perché, pur volendo alla fine rifar proprie tali posizioni, esse non saranno più le stesse, ma verranno vivificate dal passaggio nella fornace del dubbio. Se poi alcune periranno nel fuoco, amen.

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http://www.idrovolanteedizioni.it/libri/i-quaderni-neri-di-heidegger/

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