Da qualche giorno è uscito il mio libro Critica della ragion tecnica (prefazione di Roger Scruton, Idrovolante edizioni, pp.220) di cui, qui di seguito, riproduco la parte iniziale.

 

La questione della tecnica si è venuta evolvendo negli ultimi due secoli sempre più in una dimensione totalizzante e quindi rivelatasi imprescindibile problema etico e sociale, ancor prima che filosofico. Dal momento che, nel senso comune, non se ne coglie però il tratto essenziale, potremmo facilmente lasciarci indurre alla convinzione che la tecnica, lavorando solo per appagare i più essenziali bisogni, sia in nostro potere e, in un futuro ormai prossimo, sia possibile – grazie ad essa – dominare il mondo e tenere sotto controllo ogni cosa.

Questa adesione acritica può farci cadere nell’equivoco di intendere in modo riduttivo tutte le determinazioni che la qualificano e conducono necessariamente alla creazione di una tesi inconfutabile, la quale tende a demistificare la complessità di un problema che, invece, presenta una vigenza già attuale. Non bisogna dunque cadere nell’assai diffuso errore interpretativo per cui ogni tipo di argomentazione si muova innanzitutto dalla condizione contraddittoria che la tecnica, in sé, non sia né buona né cattiva, e che l’efficacia o gli svantaggi dipendano da come la si utilizzi perché, nonostante le modalità di lettura della realtà derivino sempre da come si riveli questa caratterizzazione strumentale, simili affermazioni solo in parte possono corrispondere al vero.

Non cogliendo in ciò la forma più radicale di totalitarismo, si cela ai nostri occhi il fatto che la tecnica incida in ogni settore dell’attuale organizzazione sociale, tanto da produrre una sempre maggiore omologazione dal punto di vista delle immagini prodotte, dell’impianto teorico e delle verità di cui si fa portatrice, ma soprattutto della nostra capacità di orientarci nel mondo.

Ma qui il piano interpretativo è ulteriore. Pare del tutto evidente che, in virtù di queste considerazioni, la tecnica si imponga subito all’attenzione per un dato sostanziale che prescinde dalla ordinaria soggettività di ogni singola vita e approdi a esiti originali. Essa produce una costruzione simbolica di un orizzonte planetario tale da non poter essere quasi mai percepita nella sua pericolosità, specialmente nel momento in cui dota ogni singolo uomo di strumenti di una siffatta qualità e quantità rispetto al passato da provocare mutamenti radicali nelle relazioni con gli altri, nell’ambiente che lo circonda e nel suo stesso essere «umano». (…). È proprio questa difficoltà nella comprensione del fenomeno – che poi prescinde da qualsivoglia interpretazione negativa – a far sì che possano essere sempre spostati in avanti i limiti di ogni singolo progresso della tecnica senza che ciò ci faccia preventivamente porre dei parametri etici i quali, a loro volta, vengono comunque ritenuti inattendibili o pesante zavorra del passato.

Una difficoltà di comprensione che si compie per la nostra “naturale” familiarità con la tecnica.

Da sempre, infatti, l’uomo ha ideato e fabbricato utensili per il lavoro e per rendere meno ostile il mondo intorno a lui. Ma l’intervento sulla natura è diventato via via più incisivo nel momento in cui ha percepito che malattie, necessità sociali, povertà o benessere potevano essere modellati, e quindi attenuati o ampliati, grazie all’utilizzo della tecnica. Questo sta a significare che il legame atavico con la tecnica costituiva soltanto una iniziale premessa, utile per farne esaltare la natura strumentale, per poi lasciare spazio a una più che logica relazione con il mondo circostante che imponeva limiti, ritmi e opportunità.

Solo ora ci si accorge che l’età della tecnica descrive per la prima volta nella storia dell’uomo una duplicità interconnessa di elementi positivi e negativi dove, all’infinità di mezzi, può corrispondere l’annullamento degli scopi, (…).L’essere umano come materia plasmabile, sostanza in continua trasformazione, e una tecnica quale espressione massima della titanica potenza del progresso scientifico che fagocita ogni istanza di proiezione superiore, svelano l’attuale scenario. Una relazione fintamente simmetrica in cui l’uomo ritiene di poter appagare i suoi bisogni grazie ad una crescita veloce e smisurata dello sviluppo tecno-scientifico mentre, invece, ricreandosi dipendenze e attivandosi profonde trasformazioni, egli continua a rincorrerli e ad essere insoddisfatto.

(http://www.idrovolanteedizioni.it/libri/critica-della-ragion-tecnica/)