Incrociare T.S. Eliot, il modernista che leviga i canoni letterari tradizionali, significa approntare un percorso ampio, multicolore ma sempre risoluto nei suoi parametri essenziali. Significa incrociare Henri Bergson le cui lezioni seguì alla Sorbona; Ezra Pound che conobbe sempre a Parigi e che mise mano a The Waste Land, quasi come umile redattore («il miglior fabbro»); e poi Dante, guida spirituale che lo conduce tra le fiamme di un mondo moderno in piena decadenza e gli indica i criteri di giudizio e fisionomie di attraversamenti ma che Eliot – furbescamente – lascia a noi, attraverso rimandi, talvolta laconici, e indicazioni da decrittare.

Significa incrociare un Premio Nobel della letteratura (1948) e uomo-copertina del Time (1950) in quanto «poeta innovatore ma critico della società contemporanea»… lui, per l’appunto, poeta innovatore, che però si definiva «classicista in letteratura, conservatore in politica e anglo-cattolico in religione».

Eliot, per chi voglia comprenderlo appieno, rappresenta infatti una sorta di profondo buco nero che tutto risucchia. Un pregevole, fascinoso e solleticante buco nero che con stile peculiare – come solo i “grandi” sanno fare – esalta e, per certi versi, celebra la forma poetica al livello più alto e intenso ma anche più diretto («impariamo che cosa è la poesia, leggendola»).

Per entrare in questo mondo che è circolare ma non approssimativo e superficiale ci corre in aiuto una biografia intellettuale vergata da Daniele Gigli, T.S. Eliot. Nel fuoco del conoscere, (la cui Premessa riporto di seguito) e uscita da qualche giorno per le edizioni Ares (p.170, euro 14). In essa, poetica e critica sociale, letteratura e intenti generali vengono reinterpretati non solo grazie ad una ricognizione puntigliosa su ogni singolo aspetto umano ed artistico ma ad una impegnativa opera di traduzione di lettere, poesie e brani che assumono luce nuova.

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Premessa

Il perché di un’amicizia

Lessi per la prima volta T.S. Eliot, al di là di qualche sporadico verso, nella torrida estate del 2003,quando mi trovai tra le mani la traduzione praziana del Waste Land, restandone letteralmente incendiato. Fu la lettura di un’estate intera, di pomeriggi passati al castello di Rivoli nella speranza vana di trovare un refolo di vento; un refolo, le rare volte che arrivava, più torrido dell’asfalto torinese da cui fuggivo.

Che cos’avevano quei versi di così potente, perun giovane di venticinque anni disilluso e amareggiato dagli studi universitari e da un mondo terribilmente attraente e che al tempo stesso sembrava privo di qualsiasi senso e direzione? Nei suoi gironi cupi, nell’inferno a basso voltaggio in cui a farla da padrone erano la noia più che il male e l’inazione più che l’errore, The Waste Land mi raccontava la disperazione del mio cuore come fino ad allora soltanto pochi, sceltissimi amici avevano saputo fare. Diversamente da loro, però, questo nuovo amico, questo poema magmatico ed enigmatico,non si limitava a rispecchiare il mio dolore, ma lasciava intravvedere – per quanto confuso e sovrastato dalle immagini di vuoto e di insignificanza –il desiderio di uscirne e la speranza di potervi riuscire.

Quasi senza accorgermene, divenni amico di Eliot. Discepolo, più che studioso o esegeta, scoprendo via via che lo conoscevo un’affinità sempre maggiore e un cammino intellettuale fecondo e gustoso. Tutta la sua vicenda artistica, tutta la sua produzione poetica e teorica, per non dire della sua stessa vocazione alla poesia, testimoniano infatti la ricerca di un metodo non solo espressivo ma innanzitutto conoscitivo. Non perché Eliot trasponga in versi un sistema di pensiero dato a priori, quanto piuttosto perché in lui l’attività poetica non si risolve mai interamente in sé stessa, ma è intesa piuttosto come un processo di avvicinamento e conoscenza dell’oggetto, di disvelamento attraverso la sua rappresentazione.

Perché è particolarmente importante sottolineare la visione eliotiana della parola, e in particolare della parola poetica? Perché in un mondo sempre più didascalico e polarizzato la sua poesia e la sua proposta di lettura della poesia ripropongono un’esperienza dell’opera d’arte come introduzione alla relazione e al mistero. Non è un caso, infatti, che Eliot si affidi per intero alla scrittura in versi proprio nel momento in cui la sua ricerca dei valori ontologici a fondamento dell’essere – centrale nella sua speculazione fin dagli studi di filosofia a Harvard – si inabissa nell’inafferrabilità del reale.

È questa inafferrabilità che lo conduce all’abbandono della filosofia per la letteratura – più capace di captare ed esprimere l’interazione di intelletto e senso alla base di ogni esperienza – ed è questa inafferrabilità che lo indirizzerà negli anni a identificare sempre più la parola come una preghiera,come il tentativo di afferrare, nominandola, la realtà che ci si para innanzi:

Se vieni per di qui,

per qualsivoglia strada, partendo da ogni dove,

qualsiasi l’ora e la stagione,

sarà sempre così: hai da lasciare

il senso e il noto. Non sei qui per verificare

per istruirti, soddisfare curiosità

o stilare rapporti. Sei qui ad inginocchiarti

dove la preghiera ha funzionato.

(Little Gidding, I, 39-46)

Il culmine di tale ricerca sarà l’adesione nel1927 alla High Church. Una conversione che, sebbene sia spesso intesa come una resa fideistica,rappresenta in realtà un punto di arrivo non definitivo e pacificante del suo percorso intellettuale,come evidenzia il persistere e l’approfondirsi delle medesime problematiche prefigurate in tutta la sua opera precedente. Anche perciò, per fedeltà a questo percorso di inesausta esplorazione, le pagine che seguono non intendono risolvere la questione-Eliot né sotto il profilo biografico, né sottoquello, inesauribile, esegetico e interpretativo. Più semplicemente, intendono offrire una delle molte strade possibili per accedere alla sua avventura artistica ed esistenziale, per potervisi accostare nello stesso modo in cui, alle origini del pensiero, ogni pensatore si accostava a chi lo aveva preceduto. Non come, cioè, a complessi di concetti e raggiungimenti speculativi, ma come a fonti vive di tradizione e di sapienza, possibili compagni di strada nell’avventura della vita e della sua scoperta.

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