Da qualche giorno è in libreria il volume di Francesco Carlesi e Gianluca Passera, Le radici nascoste della Costituzione. La terza via, il corporativismo e la carta del 1948 (Eclettica edizioni, p.237, euro 16) con prefazione di Daniele Trabucco, introduzione di Gherardo Marenghi e mia postfazione. 

Riporto, di seguito, un brano tratto dal primo capitolo.

 

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La Costituzione italiana è stata spesso al centro di aspri dibattiti, ancor più oggi nell’epoca dell’emergenza pandemica. Molti l’hanno costantemente dipinta come la «più bella del mondo», per l’ampio spazio dato ai diritti politici e civili, altri l’hanno messa sul banco degli imputati considerandola obsoleta e incapace di garantire continuità politica e poteri adeguati ai governi. Eppure la parte più significativa risiede negli articoli che trattano di materie economiche: programmazione, ruolo economico dello Stato, riconoscimento giuridico dei sindacati, collaborazione dei lavoratori alle imprese, disciplina pubblica del credito, il Cnel sono tutti elementi ricchi di spunti chi volesse superare i dogmi del neoliberismo e dell’individualismo. Il libro «Le Radici Nascoste della Costituzione», sesta opera promossa dall’Istituto «Stato e Partecipazione», vuole andare alle radici di quelle impostazioni, che si collegano direttamente alle idee di «terza via» e socializzazione espresse dal fascismo, ripercorrendo minuziosamente tutto il dibattito costituente, la storia e il bagaglio culturale di tanti protagonisti dell’epoca.

Gianluca Passera ha effettuato una lunga e profonda ricerca su tutte le posizioni dei democristiani, dei socialisti, dei comunisti e di tutti gli altri politici, professori e intellettuali che animarono il primissimo dopoguerra, quando cominciava a prendere forma la democrazia italiana dopo il crollo del fascismo. Un viaggio affascinante che apre mille spunti di discussione a proposito della storia italiana, allontanando qualsiasi semplificazione su quella complessa stagione. Tra spaccature evidenti e punti di contatto, proprio nella parte economica del testo costituzionale (artt. 35-47) riaffiorarono tanti spunti sociali emersi nel dibattito economico tra le due guerre. Uomini come Fanfani, Moro, Pergolesi e Mortati, d’altronde, dovevano gran parte della loro formazione al corporativismo, teoria che tra le due guerre ambì a superare il liberismo, recitando un ruolo importante nella discussione globale seguente alla crisi del ’29 e divenendo un modello internazionale per molti paesi.

Proprio queste considerazioni portarono Gaetano Rasi a scrivere: «Non ha alcun fondamento la tesi che all’egemonia della sinistra nella sfera pubblica abbiano contribuito i contenuti della Carta costituzionale entrata in vigore nel 1948 in quanto i suoi principi solidaristici e di tutela collettiva, soprattutto dei più deboli, rientrerebbero nella tradizione marxisteggiante e del cattolicesimo democratico. La realtà evolutiva è storicamente diversa. Quei principi erano già ben presenti prima del periodo di elaborazione dell’attuale Costituzione e riguardavano una maturazione dottrinale e politica risalente ai primi del Novecento e definiti istituzionalmente negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. La continuità, a prescindere dalle fratture storiche, del pensiero politico che contribuì alla messa a punto della Costituzione, è ampiamente rintracciabile nella produzione scientifica precedente. Già nel 1940 Costantino Mortati aveva avanzato idee rivolte ad una nuova Costituzione che sostituisse lo Statuto Albertino e trasformasse in precettiva e formale la Costituzione materiale che si era andata formando in Italia. Il prof. Mortati fu poi uno dei più attivi costituenti nel corso del 1947.

Ed anche altri costituenti di parte cattolica, come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani – tutti usciti dai Littoriali della cultura (il primo come giudice, gli altri due come concorrenti) – portarono nel dibattito costituente una sensibilità ancora permeata dalla concezione corporativa. Tale pure un esponente della Dc, come il prof. Alberto Canaletti–Gaudenti (che fu segretario della Dc romana), scriveva allora un libro di prospettive dal titolo “Verso un corporativismo democratico”. Nello stesso periodo anche da sinistra il giovane costituzionalista prof. Vezio Crisafulli – passato ai comunisti dopo essere stato redattore capo della rivista “Lo Stato” di Carlo Costamagna – esercitava la sua influenza nelle elaborazioni impregnate di concetti partecipazionisti (tanto che poi egli rifluì, in un percorso per certi versi simile a quello di Ugo Spirito, su posizioni vicine a quelle missine). E pure non possono essere trascurati i giuristi allievi di Gaspare Ambrosini (che fu poi Presidente della Corte Costituzionale e che era fratello di quel Vittorio Ambrosini famoso per essere stato, prima, capo degli Arditi del Popolo e poi tra i sostenitori del corporativismo); del prof. di Diritto Civile Emilio Betti; del romanista Piero De Francisci; del prof. di Diritto Amministrativo Menotti De Francesco (che fu rettore dell’Università di Milano), del maggiore costituzionalista del secolo, il prof. Santi Romano, che formò intere generazioni sulla base della sua teoria delle istituzioni. E ancora non è possibile trascurare la partecipazione degli economisti alla Costituente. A questo proposito, lo storico dell’economia Piero Barucci ha osservato che: “è chiaro che le nuove generazioni, quelle che si erano formate nella palestra del dibattito del corporativismo, non fecero un grande sforzo ad adattarsi a quel tipo di discussione che si andava formando”. Ed è qui che fu evidente il ruolo di produzione giuridico costituzionale degli economisti i quali, come Amintore Fanfani e subito dopo Francesco Vito e la scuola dell’Università Cattolica con Padre Agostino Gemelli, avevano espresso chiaramente la sua adesione ad una corrente di pensiero politico che aveva superato le grette concezioni di destra e sinistra».

In più, anche istituti come l’Iri e le strutture dello Stato sociale furono usati proficuamente nel dopoguerra dopo il ritorno del pluralismo partitico e sindacale in Italia. Infine, ampi settori dell’Msi e della Cisnal cercarono di elaborare riforme radicali della Costituzione, ma di fronte alla parte economica si affermò l’idea di promuoverne l’attuazione concreta, sulle linee di partecipazione e centralità del «lavoro» che già erano stati i capisaldi delle frange rivoluzionarie e sociali del regime. Su questo si concentra in particolare Francesco Carlesi, che, dopo un inquadramento storiografico del periodo ’45-’48, analizza tanto le posizioni della “destra sociale” quanto di uomini come Mattei (che raccolse e potenziò la struttura dell’Agip nata nel 1926) i quali portarono avanti progetti alternativi di affermazione italiana sulla scena globale. Il tentativo fu quello di andare “oltre” i due blocchi, nel disperato sforzo volto a dare all’Italia un ruolo internazionale e una dignità, ad oggi sempre più lontana.

 

 

 

 

 

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