Il percorso biografico di Arturo Reghini racconta un dinamismo culturale fuori dal comune. Figura di straordinaria originalità, seppe collocarsi in modo del tutto personale all’incrocio tra esoterismo, scienza e pensiero iniziatico. Laureato in matematica all’Università di Pisa, poliglotta e profondo conoscitore anche di lingue antiche, nel 1898 aderì alla Società Teosofica, dando avvio a un’intensa attività di studio che lo portò ad approfondire la Cabala, la cosmogonia, la filosofia antica e il simbolismo sacro.

Studioso rigoroso e polemista brillante, fu prima di tutto, un’anima inquieta. Nel 1914 aderì al movimento futurista ed entrò nel comitato direttivo della rivista Lacerba. L’anno successivo partì volontario per il fronte. Nel 1923 tradusse Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson e curò la prima edizione italiana de La Filosofia occulta di Cornelio Agrippa. Morì a Budrio nel 1946, ritiratosi in un volontario isolamento dopo aver reciso ogni legame con il mondo. E basta uno sguardo alla sua tomba per cogliere il lascito simbolico: una stella a cinque punte, la Tetraktys, la squadra e il compasso.

Fino al 1925, aveva ricoperto ruoli di rilievo all’interno della Massoneria, prima che il regime fascista — inizialmente da lui osservato con curiosità come possibile strumento di rinascita spirituale — avviasse la sistematica repressione delle società iniziatiche. A isolarlo ulteriormente fu anche il riavvicinamento tra il regime e la Chiesa cattolica, sancito dal Concordato del 1929: in quel contesto, le sue posizioni apertamente anticlericali lo resero sempre più marginale.

Critico severo delle mode pseudo-esoteriche del tempo, Reghini si batté per restituire alla Massoneria italiana la sua autentica vocazione iniziatica, opponendosi sia all’esasperato razionalismo sia all’egemonia del pensiero positivista. Deluso dal duplice tradimento della Massoneria e del fascismo, rivolse lo sguardo all’antica Roma imperiale, che considerava depositaria di una sapienza arcaica e perenne. Giunse a ipotizzare l’esistenza di una tradizione pitagorica segreta, trasmessa nei secoli attraverso figure come Virgilio, Dante, Ficino, Campanella, Bruno e Leonardo.

Collaborò con interlocutori d’eccezione come René Guénon, pubblicando sulle riviste Atanòr e Ignis, da lui fondate, e curando la prima edizione italiana de Il Re del Mondo, opera guénoniana destinata a ispirare anche l’omonimo brano di Franco Battiato.

Gran parte della sua produzione — densa, visionaria e complessa — è rimasta inedita fino a tempi recenti. Oggi, la casa editrice Mimesis ne sta curando l’edizione integrale, a partire dai testi giovanili scritti tra il 1902 e il 1908. A rendere ancora più rilevante questa impresa è l’attenta curatela e il corposo saggio introduttivo di Moreno Neri, che ricostruisce le fasi iniziali del suo pensiero e ripropone testi apparsi su riviste oggi di difficile reperibilità.

I due volumi finora pubblicati testimoniano la straordinaria ricchezza del suo pensiero. Il primo raccoglie gli scritti legati all’adesione alla Società Teosofica e all’attività della Biblioteca Filosofica di Firenze, da lui fondata nel 1903, presto divenuta un punto di riferimento per chi cercava alternative al materialismo e all’ortodossia ecclesiastica. Il secondo volume, invece, include gli articoli apparsi tra il 1906 e il 1907 sulla rivista Leonardo, diretta da Giovanni Papini — che definì Reghini “un vero e proprio mago”.

Un lavoro che non solo colma una lacuna editoriale, ma offre gli strumenti per seguirne la caotica evoluzione del pensiero.

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