Se ci soffermiamo su un particolare aspetto del progresso tecnologico, ossia l’invasione nel corpo umano, abbiamo piena contezza del fatto che esso miri a realizzare un sistema basato su riproducibilità e standardizzazione ma, prima di ogni cosa, a inseguire l’integrazione tra uomo e macchina. Una trasformazione che andrebbe vagliata tenendo conto delle opportunità che dei possibili rilievi critici. Basti pensare ai chip impiantati sotto pelle per controllare dispositivi domestici, timbrare il cartellino in ufficio o monitorare il ritmo lavorativo. Nonostante ciò, il desiderio di superare ogni limite, in particolare quello della morte, è una costante dell’esperienza umana, sin da quando Icaro volle trascendere la propria condizione.

Gli scenari fantascientifici esplorati in romanzi gotici, nei scientific romances inglesi e nella narrativa pulp americana, come opportunamente ci ricorda il volume di Riccardo Gramantieri, Presagi di postumanesimo (Mimesis, p.550) sono però sbalorditivi per la capacità profetica e l’accuratezza dei particolari.

A far saltare la pentola è l’introduzione del metodo scientifico nel XIX secolo, che non solo solleva domande sul superamento della morte ma anche sulla possibilità di una nuova realtà. Frankenstein di Mary Shelley medita sulla concezione dell’uomo come macchina e sulla fiducia in una scienza capace di fabbricare esseri immortali e, sebbene in maniera velata, associa interrogativi su questioni di etica e responsabilità.

Siamo infatti solo agli inizi di questo viaggio che è insieme scientifico e di fantasia. Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson, pubblicato nel 1886, esplora il tema del doppio e della scissione della personalità, descrivendo persino una forma di devoluzione in cui l’uomo, attraverso un artificio chimico, regredisce a uno stato primitivo, proponendo una sorta di transumanesimo al contrario.

Lovecraft riprende l’idea di base di Frankenstein nella serie di racconti Herbert West, rianimatore (1922), in cui uno scienziato, grazie a un siero ricavato dai serpenti, riesce a riportare in vita i morti. La serie sembra anticipare le moderne ricerche sulle cellule totipotenti, in particolare nel quinto episodio, quando viene affrontata la questione del trapianto di tessuti: «i suoi primi risultati consistettero nell’ottenere un tessuto immortale, che nutriva artificialmente, dalle uova appena schiuse di uno sconosciuto rettile dei tropici». Ma in tema di trasformazione del corpo che passa attraverso una trasformazione accelerata troviamo anche John W. Campbell. Il suo grande interesse per le macchine intelligenti percepite come un elemento cruciale per il progresso dell’umanità, lo descrive in L’evoluzione finale (1932) in cui spunta una società dominata dai robot e frutto di una naturale sostituzione avvenuta nel corso del tempo.

Alfred Van Vogt, scrittore canadese nato nel 1912, presenta spesso personaggi che sono mutanti o superuomini inconsapevoli della loro vera natura. Elabora l’idea che a ogni cambiamento biologico corrisponda inevitabilmente un’evoluzione psicologica, suggerendo così una visione deterministica di un processo evolutivo integrato. In questo contesto, si prefigura la creazione di una comunità universale evoluta, in cui gli esseri umani non sono altro che una delle molteplici componenti.

Di Edwin Vincent Odle (1890-1942), si sa poco o nulla. Qualcuno immaginò che si potesse trattare di uno pseudonimo di Virginia Woolf. Nei suoi scritti descrive un mondo in costante mutamento, in cui l’uomo porta nel petto un meccanismo a orologeria che regola tecnologicamente le sue funzioni vitali. Dispositivo che accelera i processi biologici, consentendo a cambiamenti che, di solito, richiederebbero giorni o mesi, di avvenire in pochissimo tempo.

Il pioniere di ogni esplorazione che abbraccia anche le preoccupazioni legate al futuro dell’umanità resta però H.G. Wells. Dai viaggi nel tempo in cui l’umanità si evolve in due specie (La macchina del tempo) alle invasioni aliene e ai conflitti con civiltà extraterrestri tecnologicamente avanzate (La guerra dei mondi), fino agli universi paralleli (Uomini come dei), alle ibridazioni (Gli Astrigeni), all’invisibilità (L’uomo invisibile), ai mutanti (Il cibo degli dei) ha sondato ogni prospettiva letteraria della fantascienza.

Alla fine di questo viaggio risulta sorprendente constatare come in opere così lontane nel tempo, emerga con chiarezza il rapporto tra sviluppo tecnologico e alienazione, sollevando interrogativi sul fatto che il concetto di “umano” possa essere continuamente rimodellato.

Anche una pellicola ancor oggi futuristica come Matrix, che immagina un’epoca in cui «gli esseri umani non nascono più, ma vengono coltivati» si ricollega a riflessioni letterarie precedenti. Nel 1884, un autore che si firmava Don Quichotte scrisse The Artificial Man, in cui descrive un uomo venuto dal futuro che rivela di essere stato procreato artificialmente in un utero simile ad una campana di vetro, e di essere stato nutrito con una sonda inserita nello stomaco.

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