Ecco un’altra “notizia non-notizia” divulgata dall’Ansa il 6 maggio.  Si parla dell’efficacia della somatostatina nella cura del tumore dell’ipofisi.  Lo studio, a grande maggioranza italiano, è stato appena pubblicato su PloS One (cliccate qui). Chi l’ha prodotto? L’università degli Studi di Brescia, l’istituto Mario Negri di Milano e l’università di Los Angeles.

 Il farmaco ormonale  – sì proprio quello usato a partire dagli anni Settanta da Luigi Di Bella,  a cui in seguito venne  sostituita l’indicazione terapeutica e che nell’era Bindi rincarò come il pane bianco in tempo di guerra, passando da un giorno all’altro, da 16mila  a 519mila lire la confezione –  “potrebbe rivelarsi fondamentale nel trattamento del tumore all’ipofisi, prima causa dell’acromegalia, malattia rara provocata da un’eccessiva produzione di ormone della crescita nel paziente adulto”.

Il lavoro condotto su 1.685 pazienti ha dimostrato che il volume del tumore si riduce in più della metà dei malati. Sentite:  “I risultati positivi  hanno indotto a pensare che questa molecola (la somatostatina) possa essere impiegata anche in pazienti non affetti da acromegalia,  per trattare i tumori solidi di origine neuro-endocrina” (che già si curano così).

I tumori neuroendocrini, divulga AdnKronos, colpiscono ogni anno 1.200 italiani, nell’ultimo decennio i casi sono aumentati del 2% l’anno.

L’agenzia mi era sfuggita ma un nostro preparatissimo lettore me l’ha inviata questa mattina, invitandomi a una riflessione: “Non c’è nulla di rivoluzionario nella prova che questo farmaco riduca la massa tumorale, gli studi in proposito sono vecchi di anni”. Ovviamente nella bibliografia cui hanno attinto i ricercatori non compare il nome Di Bella, ma non è questo il punto.

Pensiamo a chi sta male ora.

 Il lettore suggerisce: “Di fronte a queste conferme perché non si può ottenere dalle commissioni sanitarie, Aifa in testa, l’indicazione terapeutica  ‘per tumori di ogni tipo’ sul foglietto illustrativo? (L’accortezza burocratica permetterebbe ai malati di cancro di farsi prescrivere il farmaco da un oncologo o da un medico). Ancora: perché non contemplare la gratuità del farmaco perlomeno nei casi in cui le terapie tradizionali non si rivelano efficaci? O quando queste, per problemi di salute, non si possono tollerare?”

Perché? Perché? Perché?

 

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