Ecco un’altra ricerca sulla somatostatina. È milanese, è stata condotta al dipartimento di medicina nucleare dell’ospedale Humanitas ed è stata pubblicata in febbraio sull’ European Journal of Nuclear Medicine and Imaging. Qui l’estratto.

Mi è arrivato con la prima mail del mattino. Il lettore che l’ha spedita ha formulato un elementare sillogismo: se continuano a fiorire gli apprezzamenti su questo farmaco e se il benestare  arriva dai canali ufficiali, allora vuol dire che presto troveremo somatostatina (e analoghi) in fascia A. Esente da ticket, insomma.

Ricordiamo che chi si cura dal cancro con questa molecola spende suppergiù 400 euro al mese, quando va bene,  e più di mille se deve usare l’octreotide. E nonostante abbia un cancro – lo precisiamo per i non addetti ai lavori – è costretto a pagarsi la terapia di tasca propria, poiché considerata “off label”, ossia non riconosciuta dalla medicina ufficiale.

E così, chi rifiuta la chemioterapia o più tristemente non può permettersela perché troppo tossica (basta avere un’insufficienza renale o una malformazione cardiaca) e decide di curarsi con il suddetto farmaco deve pagarselo per intero.

Spiace a questo punto smorzare gli entusiasmi. La somatostatina è stata sì testata sui tumori umani, dal gruppo guidato dal ricercatore di medicina nucleare Arturo Chiti ma solo su un gruppo ristretto: i neuroendocrini. Come da tempo stanno facendo altri laboratori.

E qui, sempre per i non addetti ai lavori, occorre aprire un’altra parentesi. L’oncologia tradizionale valuta come efficaci contro i tumori soltanto quelle molecole che si attaccano ai recettori delle cellule maligne soffocandole. Chiti ha parlato in proposito “di iperespressione del recettore della somatostatina”: “Soltanto quando un tumore ha queste caratteristiche, come nel caso, per esempio, dei gastrinomi e neuroendocrini del pancreas, allora la somatotostatina è efficace”.

Il lavoro di Chiti approfondisce anche un altro impiego della somatostatina (per la verità di un analogo) e cioè il suo essere vettore di altri farmaci. “Esattamente come avviene allo Ieo con un tipo di radioterapia – spiega – ma sempre e solo per i tumori neuroendocrini”.

Giuseppe Di Bella – che continua la terapia messa a punto dal papà Luigi negli anni ’80 –  invece, sottolinea un’altra proprietà dello stesso farmaco, che è quella di inibire la proliferazione neoplastica in tutti i tipi di cancro: “La crescita dei tumori dipende dall’ormone della crescita (GH) prodotto dall’ipofisi. Questo ormone attiva la proliferazione tumorale  anche perché induce una cascata di fattori di crescita da ogni organo del corpo, l’epidermico (EGF), il vascolare (VEGF), il fibroblastico (FGF), quello di derviazione piastrinica (PDGF), di derivazione epatica (HGF), il nervoso (NGF) e via così “per questo la somatostatina arresta i tumori”. Non solo. Spiega Di Bella che “i recettori per la somatostatina sono sempre espressi in alta concentrazione nei vasi sanguigni attorno ai tumori”.

Insomma, il farmaco è lo stesso: c’è chi lo usa in un modo su un gruppo di tumori e chi lo usa in un altro modo su tutti i tumori… Mi accorgo che manca qualcosa: mi sento come a scuola quando il professore valutava un’interrogazione: “La sintesi, qui manca la sintesi”.  Chiedo anche a voi: dov’è la sintesi?

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