Riprendo la storia che Andrea ci ha fatto conoscere stamattina, è online sul sito del Fatto Quotidiano, leggetela.

C’è il dramma di una madre, separata da 18 mesi, con un bambino di 7 anni colpito da tumore al cervello. C’ è la scelta di questa donna di risparmiare al figlio terapie con pesanti effetti collaterali (chemioterapia e radioterapia) preferendogli cure più all’avanguardia ma non riconosciute (immunuterapia, radioimmunoterapia e terapia fotodinamica).

C’è un marito che non condivide la decisione della ex moglie e si rivolge ai giudici. E c’ è la sentenza dell’Alta corte del Regno che obbliga i genitori a dare al figlio chemioterapia e radioterapia. Il giudice avrebbe detto: “Questa madre si è affidata a Internet, ma noi sappiamo che la chemio e la radioterapia sono al momento le cure più efficaci. E nessuna delle soluzioni che la donna ha prospettato sono state ritenute valide dal medico legale”.

La storia, in Gran Bretagna, è già diventata un caso da tabloid. Pare anche che la donna sia scappata per sottrarre il piccolo alle terapie che lei considera non-cure.

“Se solo mio figlio dovesse soffrire, anche solo un minimo, denuncerò tutti. Se poi non dovesse sopravvivere almeno cinque anni come mi hanno promesso, li denuncerò nuovamente. Qui è in gioco il diritto di una madre a vedere felice il proprio figlio” ha annunciato la donna.

“Voglio portare mio figlio negli Stati Uniti – ha aggiunto – qui nel Regno Unito la cura dei tumori è rimasta ferma agli anni Quaranta, mi propongono soluzioni, come la radioterapia, che risalgono a quegli anni lì”. La donna teme che il figlio rimanga menomato. “Sappiamo tutti che intervenire in questo modo sul suo cervello può influire sulle sue capacità relazionali, può renderlo sterile, alcuni mi prospettano addirittura mutismo e sordità. Io su Internet, e tramite altri canali, ho trovato nuove cure ed è mio diritto fidarmi di quello che mi dice il cuore” ha detto la donna.

Il giudice però è irremovibile. “Il bambino dovrà iniziare le cure, e che siano cure tradizionali, qui nel Regno Unito. Il prima possibile”.

Marco ha già commentato questa storia nel post precedente. Condivido quando dice che riguardo a salute e malattia, in famiglia, ci vuole unità di intenti. La condivisione sul da farsi in questo campo è più importante dell’accordo su scuole, sport o vacanze.

Se fossi questa donna (uso il periodo ipotetico, so bene che nelle situazioni bisogna trovarcisi) non scapperei, ma deporrei l’ascia di guerra ai piedi dell’ex marito. Conta la salute del figlio e nella bilancia dei rancori e delle priorità, questo bene deve pesare in modo assoluto.

Chiederei al giudice di trovare un caso – un solo caso – di un bambino “curato” da un tumore al cervello (stesso tipo, identico stadio) con chemioterapia e radioterapia. Porterei un oncologo davanti all’Alta corte, si chiarisca una volta per tutte il significato delle parole, quando si affiancano i due sostantivi – “efficacia” e “chemioterapia”- si dica chiaro che si intende “riduzione di massa”, non guarigione. La massa bombardata si scioglie ma poi inevitabilmente ricompare. E ricompare in un fisico devastato, con un sistema immunitario incapace di affrontare anche il più debole dei virus.

Chiederei al giudice di mostrarmi la qualità di vita dei bambini così “curati”, per i primi cinque anni, se ci arrivano, ma anche per i primi due.

Chiederei al giudice di consultare uno specialista dell’intero corpo umano (e non ditemi che non esiste…), uno che spieghi all’Alta corte che gli effetti della radioterapia sono irreversibili e che se il bambino resta cieco e muto e handicappato come conseguenza della riduzione di massa, è sacrosanto che i genitori si oppongano.

Chiederei al giudice di interpretare la frase evangelica “prendersi cura del corpo, tempio dello spirito”. Visto che gli studi su internet ( che, per la verità, prima che su internet esistono nelle università e nei centri di ricerca ) rivelano che la sopravvivenza a cinque anni è piuttosto bassa: ha senso insistere su un bimbo di 7 anni con una terapia (chemio e radio), che, se va bene, regala qualche mese di vita in più, al prezzo di sicure sofferenze?
E non è invece più logico e più umano, tentare con altro, se questo altro potenzia il sistema immunitario e in cambio ti permette una vita (anche se pochi mesi) senza dolore?

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