Cara senatrice Cattaneo,

ieri su Repubblica lei ha scritto che è “impresa imbroba, in questo Paese, far capire come funziona l’approccio scientifico alle cure mediche”.  Ha scritto anche che “voi scienziati non potete mentire” e che non servirebbe nulla “andare di casa in casa a incontrare i malati, perché non è possibile dimostrare che cosa effettivamente potrebbe aver prodotto i miglioramenti”.

C’è senz’altro un’incomprensione importante, fra voi scienziati e noi gente comune, a cominciare dalla lingua italiana.

“Andare di casa in casa” o “ a Brescia” o “semplicemente andare a vedere di persona”, per noi non- scienziati, vuol dire “prendere in mano la situazione”: informarsi dello stato di malattia del paziente, parlare con gli specialisti, osservare quello che succede dopo i trattamenti, meravigliarsi (se i cambiamenti non appartengono alla routine) o, al contrario, accorgersi che nulla è cambiato, registrare il tutto e cercare di replicarlo. Questo sì che è metodo scientifico.  

Magari si arriva a capire che le staminali mesenchimali non danno origine a neuroni (come dieci anni fa aveva creduto anche Paolo Bianco, direttore del laboratorio di Staminali a La Sapienza di Roma) o, semplicemente, si prende atto di un miglioramento di salute generale (quante terapie sono approdate alle clinica senza che se ne conoscano i meccanismi di azione!).

Nessuno chiede al ministro Lorenzin di indossare un camice bianco e auscultare il cuore di chicchessia. Nè a lei, senatrice, di presentarsi a casa dei malati.

Ma per fare tutto questo sarebbe stata necessaria una sperimentazione, come il Parlamento italiano ha legiferato.

Certo, bisogna rispettarlo un Parlamento, se non altro quando se ne comincia a far parte: “I politici che avessero a cuore veramente il valore della vita e delle cure  – ammesso che capiscano di cosa si tratta – ha scritto – dovrebbero smetterla di prestare il fianco ai guaritori di turno” .  E come si può sbugiardare un guaritore se non lo si mette alla prova?

La trafila che spetta alle nuove medicine (quello che voi chiamate “approvazione scientifica di un farmaco”) è tutt’altra cosa dall’osservazione empirica dei fenomeni. Per questo, davanti a uno scienziato chiamato a valutare una nuova terapia ci aspettiamo che si prenda la briga di spiegarci perché un malato sta meglio. Che sia lui, il competente, a “guardare dentro” i sintomi. E se non capisce, che abbia l’umiltà di continuare a osservare e a indagare.

Sperimentazione a parte, quello che ci indigna e ci ferisce è che proprio gli scienziati che “hanno l’impegno morale di non mentire” stiano tentando in tutti modi di ostacolare una terapia compassionevole (legge Turco-Fazio 2006) su malati orfani di cure e prossimi alla morte.

PS. Oggi il tribunale di Pesaro ha accolto il ricorso di una coppia di Firenze, la loro bimba di 12 anni colpita da malattia neurodegenerativa, avrà diritto alle infusioni Stamina agli Spedali di Brescia. Il giudice scrive: “C’è una questione di rispetto della propria dignità che è parimenti mortificata dall’uso sconsiderato dei farmaci e dalla negazione di un qualunque trattamento terapeutico, pure in presenza di evidenze empiriche favorevoli e in mancanza di evidenti controindicazioni”.

PS. Davide Vannoni ha annunciato una conferenza stampa, il 24 ottobre, ore 11.30 all’hotel Nazionale di piazza Montecitorio: “Presenteremo i risultati ottenuti dai pazienti in trattamento agli Spedali Civili di Brescia, corredati da analisi strumentali eseguite al di fuori dalla struttura bresciana, presso gli ospedali che seguono i vari pazienti nelle diverse regioni d’Italia”.

Vannoni precisa  che “non è Stamina a presentare i dati, bensì neurologi non retribuiti da noi, che hanno raccolto i risultati di tutte le analisi strumentali che dimostrano non solo l’assenza di effetti collaterali ma soprattutto i miglioramenti riportati dai pazienti”.

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