Un farmaco compassionevole per il piccolo Josh, sette anni, in fin di vita in un ospedale della Virginia. Un antivirale innovativo,  che si chiama Brincidofovir e non è ancora in commercio ma che la Fda, (l’agenzia del farmaco americana) ha concesso in via eccezionale perché non si sa quanto vivrà Josh. Perché le regole sono regole, sacrosante, ma quando ti ingabbiano la vita è meglio farne a meno.

La notizia, uscita su Fox News, è di martedì sera. Cliccate qui.

Per Josh Hardy era scattato un tam tam di solidarietà, un appello dietro l’altro, la pagina facebook della famiglia con 25mila iscritti, gli amici con le t-shirt e i pullman con gli striscioni.  Josh aveva avuto un cancro al rene. Subìto un intervento e affrontato le terapie. Poi, due anni dopo, anche un trapianto di midollo per arginare gli effetti delle cure.

L’intervento riesce ma il sistema immunitario è azzerato e il corpo di Josh si arrende al primo virus. L’infezione diventa acuta. La mamma, Aimee Hardy, abbandona il lettino d’ospedale per protestare da Kenneth Moch, Ceo dell’azienda produttrice Chimerix. Gli dice: “Avrei voluto stare con mio figlio che sta morendo, prendergli la mano e dirgli che va tutto bene. Invece sono qui, perché non c’è la volontà a concedere questo farmaco e sono arrabbiatissima”.

Così il muro del no si sgretola: martedì Chimerix e Fda concedono a Josh l’antivirale.

Ieri da noi, in Senato, è stato “processato” l’ex ministro Renato Balduzzi perché ai tempi delle proteste dei malati in attesa di Stamina, aveva fatto un decreto per curare i pazienti già in trattamento e impedire che ce ne fossero altri.

Domani a Firenze i familiari dei pazienti Stamina discuteranno della proposta di legge per modificare l’accesso alle terapie compassionevoli con cellule staminali mesenchimali. Occorreranno 50 mila firme. Vi illustrerò i dettagli in seguito.

Sto finendo di leggere il libro di Marino Andolina “Un pediatra in guerra” (Mursia). Andolina è stato il primo chirurgo a fare i trapianti di midollo nei bambini. Ma è stato anche il primo, nel 1986, a trattare i malati con le staminali. Scrive: “Era una fase pionieristica in cui bisognava inventare tutto, dall’alimentazione parentale attraverso un catetere che arrivava fino al cuore, alle trasfusioni di piastrine con macchine arcaiche. (…) Per ridurre le liste d’attesa, cominciai quella che è rimasta la mia missione preferita: insegnare agli altri a fare i trapianti. Così mettevo in macchina quanto serviva per manipolare un midollo, compresi i contenitori portatili di azoto liquido, e partivo per Pavia e Genova (…) Come in tutte le fasi pionieristiche le normative erano inadeguate al nuovo corso e i regolamenti mal si adattavano alle nuove esigenze. Credo di aver violato all’epoca più di un regolamento, ma dalla mia avevo la consapevolezza che il fine, cioè la cura dei pazienti, giustificasse il mezzo. Grazie a quanto ho fatto a Trieste e in altre città italiane oggi camminano tra noi alcune centinaia di italiani che altrimenti sarebbero morti”.

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