“E se un vaccino funzionasse meno di un altro?”
Rilancio sul blog un’intervista al prof Paolo Bellavite pubblicata venerdì su il giornale.it
“Quando saranno pubblici gli studi di efficacia e sicurezza dei vaccini anti-COVID si presenterà un nuovo dilemma. Cosa faremo con il vaccino che funzionerà meno? Non vorrei essere nei panni del ministro Speranza…”. Già, la libera concorrenza – che significa anche mettere a disposizione della popolazione il prodotto migliore – pare svanita di fronte all’emergenza Coronavirus. Ce lo spiega Paolo Bellavite, ematologo, ricercatore e già professore di Patologia Generale. “I governi hanno già acquistato i vaccini anti-COVID prima del loro sviluppo, ma non significa che quando arriveranno non li pagheremo più. Ne abbiamo solo finanziato, in parte, la produzione”.
In Italia avremo a disposizione il vaccino dell’azienda americana Pfizer e quello italo-inglese AstraZeneca. Visto che di entrambi si sta parlando di efficacia al 90%, non potrebbe accadere che funzionino allo stesso modo?
“Assai improbabile perché sono basati su meccanismi molto diversi. Quindi è facilmente prevedibile che, ad un’attenta revisione dei risultati quando saranno pubblicati, alcuni vaccini risulteranno più efficaci e sicuri di altri. Può anche darsi che la competizione sarà vinta da chi produrrà un vaccino a minor costo o più maneggevole nei trasporti e stoccaggi. Sarebbe molto curioso che alla fine si dimostrasse vantaggioso sul mercato mondiale il vaccino prodotto dalla nazione da cui è partito il virus. In ogni caso va detto che, al momento, l’efficacia, così come la sicurezza, non si conoscono. Siamo in attesa degli studi”.
Lo ha detto anche il professor Crisanti e lo stanno mettendo in croce per questo. Si dice che avrebbe dovuto tacere e che ha prestato il fianco ai no-vax.
“Invece, è il punto cruciale. Ogni farmaco che entra sul mercato è anticipato da un lavoro pubblicato e sottoposto alla revisione del mondo scientifico. È interesse dei cittadini che le aziende si presentino in questo modo e anche il nostro ministro, che ha finanziato gli studi con il denaro pubblico, dovrebbe pretenderlo”.
Però dei vaccini in arrivo si sta già dicendo che sono efficaci al 90%…
“A confondere è la parola efficacia. Al momento si è visto che questi vaccini producono una reazione immunitaria, ossia il sistema immunitario di chi lo riceve sviluppa linfociti. È un fatto normale, qualsiasi sostanza estranea iniettata provoca una risposta anticorpale. Ma poi occorre vedere se questi anticorpi sono sufficienti a proteggere davanti alla ‘prova’ della malattia. Sono le valutazioni delle fasi 2 e 3”.
…che, questa volta, sono state fatte insieme e velocemente per far fronte all’emergenza.
“Esatto. Ma gran parte delle sperimentazioni sono ancora in corso ed occorre guardare i lavori quando sono completi e pubblicati. Capire come si è svolta la somministrazione, se al gruppo di controllo è stato dato un placebo, un altro vaccino o nulla, conoscere l’età dei partecipanti, l’incidenza e l’intensità della malattia, capire se il vaccino riduce i contagi e di quanto, infine se si tratta di prodotti sicuri”.
Come si fa a sapere se sono prodotti sicuri?
“La sicurezza è valutata nella fase 1, poi anche nelle fasi successive e persino nella fase post-marketing. Ma finora si sa solo qualcosa della fase 1 e in modo molto limitato per un vaccino della fase 2, perché il controllo delle reazioni avverse è durato solo una settimana (sono apparse pubblicazioni su riviste come Lancet, JAMA o New England Journal). Invece, trattandosi di vaccini fatti con procedure nuove e mai collaudate nel mondo, sarebbe opportuno protrarre lo studio di sicurezza per diversi mesi. Infine, un aspetto molto delicato è la valutazione del nesso causale degli eventi avversi dopo le vaccinazioni, cioè capire se la reazione patologica è dovuta veramente al vaccino o ad altre cause concomitanti. Questo passaggio valutativo normalmente è fatto mediante un “algoritmo” messo a punto da OMS, che però non è privo di aspetti critici, come ho dimostrato in un recente lavoro (Qui)
In che senso questi vaccini sono diversi da quelli che abbiamo usato fino a oggi?
“Il vaccino cinese in fase più avanzata di studio e produzione è stato formulato con procedura conosciuta, ossia utilizzando il virus inattivato e usando l’alluminio come adiuvante. Quelli europei e americani iniettano particelle o virus vettori contenenti i filamenti di RNA che, con vari accorgimenti tecnologici, vengono fatti entrare nelle nostre cellule. Saranno poi le cellule umane a produrre le proteine tipiche del virus, che il nostro sistema immunitario riconoscerà come estranee, dando il via al processo di immunizzazione. In teoria, i filamenti di RNA possono entrare in qualsiasi cellula del tessuto dove il vaccino è iniettato o arriva diffondendosi: muscolo, connettivo, sangue, neuroni…”.
È una procedura che potrebbe compromettere l’equilibrio del sistema immunitario?
“Il rischio è – al pari di un’infezione virale – che si attivi un’aggressione autoimmune: le cellule che producono le proteine virali vengono viste come estranee e perciò attaccate dal sistema immunitario. In alcuni soggetti predisposti geneticamente o per suscettibilità di altro tipo, una reazione autoimmune può espandersi e divenire sistemica, attaccare anche altri organi. Di questo ho parlato nel testo di critica all’algoritmo OMS che ho sopra citato. Ripeto: ciò può succedere anche dopo un’infezione virale, per questo dico che gli eventi avversi devono essere misurati anche a medio termine, ossia per mesi. Così si possono mettere sulla bilancia rischi e benefici e si può scegliere consapevolmente”.
Quindi, lei rafforza la posizione di Crisanti?
“Certamente. Sono per la massima cautela. La fretta è cattiva consigliera e sono perplesso sulle richieste di deroga alle normali procedure autorizzative, che vengono via via presentate dalle varie case farmaceutiche in competizione. Se poi sento ventilare eventuali obblighi, ricatti o patentini, la perplessità diventa immediatamente totale contrarietà”.
L’Inghilterra sta cercando con urgenza uno strumento di intelligenza artificiale per elaborare “l’elevato volume previsto di reazioni avverse del vaccino Covid-19”, cliccate qui. Cosa ne pensa?
“Ben venga uno strumento di questo tipo, purché sia un software efficace e indipendente e non si dimentichi l’apporto di medici, infermieri, famiglie. Conosciamo già i limiti della cosiddetta sorveglianza passiva, è importante allestire una raccolta segnalazioni sistematica e attiva della durata di almeno sei mesi. Lo scopo, come abbiamo detto è una scelta informata”.
Quando scomparirà la pandemia?
“Non sono un profeta ma se guardiamo al comportamento dei precedenti coronavirus dovremmo dire che tenderà a diminuire. Le epidemie di coronavirus si manifestano a ondate, con un picco, in genere d’inverno, e una pausa d’estate. Certo che la pandemia è un problema ben più grave perché sono possibili reinfezioni per passaggi tra i continenti e tra gli emisferi”.
E poi dovrebbero spontaneamente sparire?
“In genere accade così. Oggi il 14-15% delle persone testate è positivo al virus, il numero totale delle persone immunizzate per via naturale è destinato a crescere. Se dovesse arrivare un SARS Cov3 troverebbe una popolazione con una sorta di immunità sufficiente a rendere il prossimo virus meno aggressivo. Bisogna contare anche sull’immunità di tipo cellulare (linfociti T “memoria”) che in parte è crociata con altri coronavirus”.
Quindi, lei è ottimista.
“Sì se fossimo di fronte a un virus naturale, no se fosse ingegnerizzato. In questo secondo caso non sapremmo per quali scopi sia stato messo a punto e potrebbe avere comportamenti molto diversi dai virus conosciuti.”
Ma non è stata chiarita l’origine?
“No. Si parla di “salto di specie”, ma non è stata trovata alcuna specie animale con questo virus; giocoforza non si sa se e come sia avvenuto il passaggio. Non sarebbe la prima fuga di virus selvaggi coltivati e modificati e l’origine del COVID-19 ancora dubbia potrebbe darci l’occasione per riflettere. Nel dubbio, vista la gravità del fenomeno verificatosi, la sola possibilità che sia uscito da un laboratorio dovrebbe far rivalutare la moratoria di ricercatori internazionali che chiedeva la sospensione degli esperimenti detti gain of function (guadagno di funzione) nei laboratori di tutto il mondo.” Cliccate qui per leggere la moratoria.
È stato utile il lockdown?
“Sì, ha avuto senso perché non si sapeva cos’altro fare per interrompere la crescita tumultuosa ed evitare il sovraccarico delle terapie intensive, ma con la scienza del poi possiamo osservare che iniziò troppo tardi (i primi contagi si erano visti già a fine febbraio e si era capito che non si trattava di un singolo focolaio) e durò troppo a lungo, perché la curva epidemica a metà aprile era in evidente decrescita e le terapie intensive erano alleggerite. Anche se la curva temporale non dimostra di per sé l’efficacia della misura (perché nello stesso periodo si sono verificati notevoli cambiamenti climatici), è difficile negare l’importanza del lockdown nel moderare le occasioni di contatto, visto oltretutto che si ignorano altri sistemi per fermare un virus che si diffonde così rapidamente. Parlo solo dell’aspetto epidemiologico, non dell’impatto di una misura così grave sull’economia e sulla vita delle persone. Le mascherine non servono quasi a nulla all’aperto e ai bambini nell’ambiente scolastico creano molto disagio. Il distanziamento di almeno un paio di metri, invece, si è dimostrato efficace in studi appropriati, mentre la chiusura delle persone in casa o nelle residenze per anziani senza adeguate indicazioni e attrezzature per la prevenzione dei contagi spiega una buona parte della mortalità della prima ondata. Quello che alimenta la confusione e nuoce alla credibilità è il continuo produrre Dpcm oltre al colpevolizzare le persone, come se l’epidemia stessa dipendesse dal presunto cattivo comportamento di qualche singolo soggetto, magari sanissimo. Non parliamo poi del carico di paura che si vuol tenere costantemente alto. Si continua a ripetere che solo il vaccino ci salverà ma, come abbiamo detto, è ancora tutto da dimostrare. Nessun vaccino fatto con microrganismi uccisi o virus inattivati o ingegnerizzati è riuscito a eradicare la malattia verso cui era diretto. Meglio non farsi illusioni, che potrebbero essere pagate con grandi delusioni e molte vittime”.
Le chiedo se ci chiarisce la questione dell’immunità. Chi ha già contratto il COVID-19 dovrebbe dormire tra due guanciali, eppure da quando è iniziata l’epidemia ci viene continuamente detto che ci si potrebbe riammalare. Se è così, a cosa serve vaccinarsi?
“Circolano diverse teorie strampalate e indimostrate, figlie dell’ignoranza di statistica ed epidemiologia. Ma i capisaldi dell’immunologia non cambiano solo perché il virus è nuovo. Primo: la maggior parte delle malattie infettive conferisce un’immunità di maggiore o minore durata, ma è sempre accaduto di potersi riammalare di qualche malattia infettiva. Non spesso ma può succedere. Secondo: la durata degli anticorpi non è eterna. Quando una persona è guarita non continua a produrre anticorpi, non le servirebbero. Le resta però un’immunità cellulare data dai linfociti memoria T di maggiore durata, anche anni o decenni se il soggetto nel frattempo subisce qualche richiamo naturale. Terzo: la teoria dell’effetto gregge (valida per le grandi epidemie, meno per i vaccini) spiega che, quando una grossa fetta di popolazione è immune verso un’infezione, questa circola meno, al punto che, oltre una certa soglia critica, non circola più nemmeno tra i soggetti non immuni. Dopo una malattia come il COVID-19 restano anticorpi, tant’è che vi sono molti donatori di plasma, ma la durata degli anticorpi da vaccinazione è un aspetto che al momento non si conosce e che emergerà dagli studi”.
Però ci ammaliamo di raffreddore (rinovirus e coronavirus) tante volte…
“Vero, ma non sappiamo se le “tante” volte dipendono dall’incontro di altrettanti ceppi di virus. Ogni virus può avere anche decine di ceppi e i virus sono centinaia”.
Durante il primo lockdown lei ha pubblicato uno studio sull’arancia. Qui.
“Cercando di proteggere me e i familiari ho pescato fra le mie conoscenze delle medicine complementari e dei nutraceutici. Oltre a bere grandi spremute di arancia utilizzavamo un integratore, l’acetilcisteina. Vi sono diversi studi su questo antiossidante potentissimo impiegato anche per contrastare le influenze. Avendo poi tempo a disposizione ho studiato l’arancia e gli altri agrumi e con sorpresa, assieme al collega Alberto Donzelli, abbiamo compreso che a bloccare i coronavirus non è tanto la vitamina C quanto più probabilmente l’esperidina, il principale flavonoide contenuto in questi frutti”.
Che proprietà ha?
“Negli studi di simulazione molecolare condotti al computer si comporta come un anti virale, blocca la proteina spike (quella che facilita l’ingresso del SARS-CoV-2 nelle cellule) e, se il virus entra nella cellula, gli impedisce di replicarsi. Inoltre, combatte lo “stress ossidativo” che si sviluppa nelle cellule attaccate dai virus. Nella rassegna citata abbiamo raccolto gli studi di simulazione molecolare e di laboratorio, per questo è corretto parlare di plausibilità, non di efficacia clinica dimostrata”.
Poi, da questo studio, è nato un integratore.
“Esatto, dopo la pubblicazione della rassegna sulla rivista Antioxidants, sono stato contattato da una Azienda leader nella ricerca in microimmunoterapia, la quale mi ha chiesto di collaborare alla realizzazione di un integratore a base di esperidina, alla quale abbiamo aggiunto la quercetina, un altro flavonoide che avevo studiato nel mio laboratorio anni fa. Questa sostanza, abbassando i livelli di istamina, ha la proprietà di tenere sotto controllo i meccanismi dell’infiammazione. Inoltre, abbiamo aggiunto la vitamina C che pure ha effetto antiossidante e contribuisce alla normale funzione del sistema immunitario. La letteratura del possibile effetto benefico nel COVID-19 di queste tre sostanze è molto vasta e in rapida crescita. Così è arrivato l’integratore”.