Una notizia diffusa ieri si è rivelata imprecisa. Anzi, è meglio dire: errata.

La trovate qui. Si racconta di una decina di dipendenti di due case di riposo del bellunese che si sarebbero rifiutati di vaccinarsi in febbraio e che per questo sono stati sospesi dal lavoro (messi in ferie forzate). Il medico delle due strutture avrebbe stabilito l’ inidoneità al servizio degli operatori sanitari,  “permettendo ai vertici delle case di riposo di allontanarli dal luogo di lavoro, senza stipendio, per impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista”, così si legge sul Corriere.

La cronaca prosegue raccontando che gli operatori sanitari si sono rivolti al giudice “per essere reintegrati nel posto di lavoro rivendicando la libertà di scelta vaccinale prevista dall’ordinamento italiano e dalla Costituzione”.

Il giornalista, poi, ci mette del suo lasciando intendere che le sue parole chiariscano maggiormente il verdetto del giudice, eccole: “C’è poco da gridare ai quattro venti che l’autorizzazione ai vaccini è temporanea, che c’è stata poca sperimentazione e che ci sono rischi, il tribunale ha ritenuto insussistenti le ragioni degli operatori no vax”.

Quindi l’articolo ricorda che i dipendenti non sono stati licenziati ma solo “sospesi”, “significa che quando cesserà il pericolo per la salute, cioè se si vaccineranno o se la Covid sparirà dalla faccia della terra, potranno essere reintegrati con effetto immediato”.

C’è anche una ciliegina – pindarica, perché non c’entra con il resto -: addirittura, secondo gli avvocati delle RSA, “la condotta degli operatori sanitari si può paragonare a mobbing nei confronti degli ospiti delle RSA”. Avete capito bene: gli ospiti anziani sono liberi di vaccinarsi o meno e, secondo questi avvocati, sarebbero mobbizzati dagli operatori che esercitano lo stesso diritto.

L’estensore conclude che la sentenza “è destinata a fare da pilota per i prossimi ricorsi” e suggerisce come dovranno comportarsi in futuro i direttori ospedalieri “in mancanza della possibilità di sospendere i no-vax, i direttori generali potranno metterli in reparti isolati dove non saranno in grado di contagiare e contagiarsi”.

Ora leggiamo la sentenza qui e cerchiamo le differenze.

Il giudice, Anna Travìa, dopo aver elogiato la bontà dei vaccini e ricordato che al datore di lavoro spetta il dovere di occuparsi della sicurezza dei dipendenti, precisa che i dipendenti hanno diritto a un periodo di ferie retribuito, quindi, leggiamo “ritenuta l’insussistenza del ‘periculum in mora” (una situazione di pericolo) quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento…eccetera eccetera”. Con quelle parole il giudice sottolinea che non vi è pericolo che i dipendenti siano licenziati, per questo ne rigetta il ricorso.

Non è vero che dipendenti sono stati allontanati senza stipendio.

Non è vero che “quando si vaccineranno o sparirà la pandemia” gli operatori potranno tornare a lavorare.

Non è vero che il giudice ha respinto il ricorso degli operatori sanitari perché questi non si erano vaccinati ma perché non vi era alcun rischio che venissero licenziati (praticamente la situazione opposta).

È vero che i dipendenti sono in ferie retribuite.

È vero che il giudice non ha messo in discussione la scelta dei dipendenti di aderire o meno alla vaccinazione.

E se un dipendente sanitario avesse terminato le ferie?

Il giudice non accenna a questa ipotesi. È chiaro che in caso di ferie esaurite vi sarebbe un’altra sentenza visto che si prospetterebbe il “periculum” paventato dal giudice.

Morale: la vaccinazione è un diritto? Sì. E la si può rifiutare? Sì.

Il datore di lavoro non può conoscere lo stato di salute e di malattia di un proprio dipendente (ne violerebbe la privacy), giocoforza non potrebbe neppure sospenderlo lasciandolo senza stipendio come auspicato dal Corriere. Saremmo di fronte, questa volta sì, a mobbing pesante. 

Ricordiamo che tutte le vaccinazioni anti Covid sono proposte alla popolazione. E che il diritto a riceverle non coincide con la costrizione. 

 

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