Studi clinici, che danno non pubblicarli
Un modo di sprecare risorse pubbliche, di vanificare il lavoro dei sanitari, di illudere i malati e di brancolare più a lungo nell’incertezza scientifica.
Si arruolano volontari fra i pazienti, li si coinvolge in studi per testare le nuove terapie, quelle che i comitati scientifici considerano più promettenti e i comitati etici valutano opportune. E poi? Nulla di fatto nella metà dei casi. Perché il 50% degli studi clinici finisce nella spazzatura.
Lo ha stimato All-trials, la rete internazionale che dal 2013 si batte per la trasparenza delle sperimentazioni, promossa, fra gli altri, da Ben Goldrace, BMJ, Center for Evidence Based Medicine e Cochrane Collaboration.
Una delle ultime analisi si riferisce a 475 lavori che hanno coinvolto 83.903 pazienti in cinque Paesi nordici. Si tratta di un report pubblicato da sette gruppi di pazienti e sanitari. Fra i reclutati che si sono messi a disposizione della ricerca c’erano malati di tumore, di sclerosi multipla e di patologie mentali. È emerso che più di un quinto di tutte le ricerche cliniche condotte dalle università del Nord Europa fra il 2016 e il 2019 sono diventate rifiuti (quanto costosi?) molte erano state finanziate con denaro pubblico.
Il report fa notare la mancanza di controllo istituzionale, sia da parte delle università che degli ospedali di Danimarca, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia: le istituzioni non hanno verificato che i lavori dei loro ricercatori venissero pubblicati.
I dati sono comunque eterogenei. L’Università di Oslo e quella della Danimarca meridionale hanno divulgato il 91% dei risultati. Maglia nera per l’ospedale universitario di Haukeland in Norvegia, che ha oscurato la metà dei lavori.
Perché non si pubblicano molte ricerche?
“Per vari motivi che vanno dal fatto che talvolta i risultati sono diversi dall’atteso – in questi casi la pubblicazione sarebbe invece ancor più necessaria, dato che si documenterebbe l’inefficacia o il rischio di un farmaco o di una terapia – . Oppure per evitare la concorrenza industriale mantenendo segreti i risultati fin qui raggiunti, o, ancora, per pigrizia” ha commentato Marco Cosentino, docente di Farmacologia all’Università dell’Insubria.
Il debito dello sperimentatore verso la collettività
Alltrials considera che “se vengono pubblicati solo alcuni dei risultati degli studi clinici su specifici interventi sanitari, le prove sono distorte, perché mancano risultati importanti e gli organismi regolatori e i medici non sono in grado di prendere decisioni efficaci e informate. Le conseguenti decisioni sbagliate sono un rischio inaccettabile per la vita umana”. Cosentino parla di una sorta di “debito dello sperimentatore verso la collettività: “Chi fa ricerca con fondi pubblici, in strutture pubbliche, coinvolgendo i pazienti volontari è vincolato a presentare i risultati, qualsiasi essi siano”.
La mancata comunicazione dei risultati degli studi clinici minaccia la fiducia del pubblico nella scienza.
Uno studio del 2010 ha mostrato che gli studi con risultati positivi avevano il doppio delle probabilità di essere riportati rispetto a quelli con risultati negativi.