Fertility day. Polemiche, polemiche ed ancora polemiche. Certo l’improbabile nome, che rievoca alla mente la perfida Albione, usato per parlare del giorno della fertilità ha portato il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, al centro del valzer della discordia. Parliamoci chiaro, i metodi utilizzati sono sbagliati, come sempre del resto, ma rimane un dato insindacabile: stiamo morendo. Non facciamo più figli, neanche per sbaglio, e abbiamo basato tutta la nostra vita sulla felicità. Siamo felici? Provate a chiedere ad un malato terminale, con sei mesi di aspettativa di vita, se è felice di spirare. L’auto, intesa come società, sfreccia a tutta velocità verso il dirupo, un dirupo ineluttabile che ci sorride. Metafisica della disintegrazione. Andiamo a guardare i dati reali. Nel 2015 sono nati 485.780 bambini, da Bolzano a Palermo, il 16% in meno rispetto al 2008. Minimo storico dall’Unità d’Italia a questa parte. Sono notizie come queste che lasciano sconvolti, senza parole a fissare il vuoto. Una mattanza. Si è passati “dai 9,8 nati ogni mille abitanti del 2008 agli 8 nel 2015”, recita Rainews, un suicidio di massa da far impallidire i fatti, avvenuti a fine anni ’70, a Jonestown in Guyana.
Ma in tutto questo a cosa serve arrendersi. A nulla. Costanza Miriano, la coraggiosa giornalista cattolica, madre e lavoratrice qualche settimana fa su Il Foglio lanciava il suo monito. Monito che ha colpito, in maniera benevola, i giovani uomini e le giovani donne. Un inno alla responsabilità da troppi anni rifiutata e scansata come la peggiore delle nefandezze. “Contro il calo demografico, per concludere, non togliamo ore preziose all’insegnamento per parlare di pillola (mai una volta che i metodi naturali vengano citati sui libri di biologia delle scuole, e qui ci sarebbe un altro ampio capitolo sull’ignoranza generale del tema): facciamo piuttosto innamorare gli uomini di domani della grandezza, della responsabilità, del desiderio, di Dante, della sua visione del mondo così certa, di quella tragica di Tolstoji, mettiamo in loro la nostalgia di un destino alto, diciamo loro che saremo al loro fianco, che non abbiamo paura di vivere senza preservativi, perché prendersi responsabilità è quello che li renderà uomini e donne”. Il più grande nemico, l’uomo nero che si cela dietro alla caduta certa del “migliore dei mondi possibili”, che orrore, siamo noi. Inevitabilmente noi stessi.
Qualche giorno fa Beppe Severgnini riceveva sul blog, la 27esima ora, la lettera, disperata, di una madre in carriera. Una donna con una professione d’avvocato avviata e due figlie. Racconta di come è difficile conciliare le due cose, di come si seguano stili di vita sbagliati per colpa dell’assenza della pubblica amministrazione, di come si lascino crescere i propri figli alle tate e di come, fatalmente, sul luogo di lavoro non si può essere al passo con gli altri. “Ti dico la verità, se è questo quello che volevano le donne quando lottavano per i loro diritti, beh, penso abbiano fallito. Non è possibile dover lavorare come matte per guadagnarsi la minima credibilità professionale e allo stesso tempo fare i salti morali per tenere la gestione di una famiglia”. Lavorare è sacro, lo sancisce anche la Costituzione nel suo primo articolo. Lo Stato costringe donne e uomini ad umiliarsi perché non riescono a conciliare il lavoro con la famiglia. Assurdo. Bisogna dare i mezzi alle persone per mantenere se stessi e la propria prole. Vergognoso è costringere la gente a lasciare la carriera per poi ritrovarsi senza soldi, incapaci di dare una vita dignitosa alle future generazioni che condividono il tetto sopra la nostra testa. Annegati in una marea di cazzate abbiamo perso di vista la luce che illumina il nostro cammino. Una strada lastricata di storia e di appartenenza, un tragitto che transita attraverso il passato. Abbiamo gettato le armi, avvinazzati, annacquati ed impotenti. Mentre il sud del mondo non bussa più alla porta, ma ha sfondato ogni limite e ce lo siamo ritrovato in casa a dettare le regole.
Torniamo al capezzale della Lorenzin. E’ insindacabile e corretto parlare di fertilità, l’orologio biologico ha una scadenza, segue delle regole e non le aberrazioni tecnologiche che rispondono ad utero in affitto e alla fecondazione in vitro. Abbiamo una scadenza è la realtà. Non vederlo è demenza. Eppure parlando di certi temi si finisce sempre ad incontrare il Roberto Saviano di turno che ti bolla come fascista, razzista, xenofobo, omofobo e mille altre parole frutto della bocca cieca degli stolti. La campagna poteva, e doveva, essere fatta meglio non lasciare spazio ai fraintendimenti, ma possiamo chiedere ad uno Stato che non dà esempi, in nessun caso, di indicarci la via verso la procreazione? Adriano Scianca, sulle colonne de Il Primato Nazionale, si sofferma sul senso della propaganda indagando sul significato di dimostrare. Mostrare la via a quelli che verranno. “Ma l’unico possibile veicolo per diffondere un messaggio etico oggi è l’esempio. Il paternalismo sopraggiunge con la scomparsa (simbolica) dei padri. La parola d’ordine non è ‘moraleggiare’, ma un’altra molto più difficile: incarnare”. L’esempio è essenziale per non perdere la rotta, per educare i nostri figli e farli cresce, ma prima di tutto per metterli al mondo.
Ai governanti chiedo cosa pensate di fare? Stiamo sparendo, la Grande Sostituzione di cui parla Renaud Camus è la realtà, basta farsi un giro per le vie di qualsivoglia città. Troveremo italiani chiusi in casa, sommersi dai mille problemi di tutti i giorni, e gli stranieri a calcare i marciapiedi con prole al seguito. Le nascite, come visto, crollano giorno dopo giorno e gli immigrati fanno sempre più figli. I loro discendenti che vengono al mondo in Italia rientrano nel calcolo delle nascite e questo aspetto è il più preoccupante. Nel 2014 i bambini nati da almeno un genitore straniero sono 104mila, pari al 20,7%, mentre quelli nati da genitori entrambi forestieri sono 75.067, il 14,9% del totale. Ci dicono che è inevitabile, che ci servono, che sono indispensabili per pagare le pensioni, per mantenere in vita lo Stato sociale, per pagarci i servizi, per non spopolare l’Italia. Non è vero. Noi abbiamo bisogno di noi. Il parlamento deve rimboccarsi le maniche, i 35€ giornalieri li diano ad esempio alle giovani coppie di italiani che vogliono costruirsi una famiglia, vedremmo immediatamente schizzare verso il cielo le nascite. Gli asili nido costano una follia, anche i semplici prodotti, indispensabili per la crescita, hanno costi esorbitanti e le istituzioni dove sono? A Lampedusa per sfoggiare sorrisi a 32 denti in favore di chi un giorno, pur venendo dall’Africa subsahariana, potrà fregiarsi del “titolo” di italiano. Maledetto sia lo ius soli. Il parlamento dovrebbe stanziare risorse ingenti per sostenere le giovani coppie che vogliono avere dei figli. Incentivarli tramite contributi economici mensili, ma non misere mance, bensì consistenti donazioni che possano servire per pagare alimenti, pannolini, cure mediche e soprattutto l’asilo nido ai neonati, così da consentire ai genitori di lavorare e godersi la propria famiglia. Questo avrebbe dovuto fare e dovrebbe iniziare a fare uno Stato e la politica che dovrebbe essere lungimirante e che soprattutto dovrebbe pensare a rendere più sicuro e certo il futuro del popolo che purtroppo con disonore rappresenta. Tutto il resto sono chiacchiere che ormai siamo abituati tutti i giorni ad ascoltare da qualunque esponente politico e da qualunque partito. Siamo stanchi, siamo incazzati neri perché non è più possibile accettare tutto questo schifo. Stiamo scomparendo, il popolo italiano, se continuiamo cosi, tra pochi anni non esisterà più.
La nostra storia, le nostre radici, il nostro paese si estinguerà e avranno vinto loro, questi vigliacchi di politicanti che venderebbero la loro madre per un tornaconto personale. Vogliamo permettere tutto questo cari fratelli italiani? Se continuiamo a fregarcene pensando solo al nostro orticello, finirà che ci toglieranno anche quello. Se, invece, vogliamo cambiare e salvarci dalla schiavitù e dalla perdita totale della nostra identità, dobbiamo lottare per riconquistare la dignità e la sovranità che spetta al popolo italiano. www.ilgiornale.it