L’ndrangheta e le mafie fatturano 26 volte gli utili di Banca Intesa San Paolo. Lo Stato, gli imprenditori e i cittadini devono fare di tutto per fermare questo dilagante cancro
“Se la mafia fa paura, lo Stato deve farne di più”. Con questa massima del Prefetto di ferro Cesare Mori, io Andrea Pasini in versione imprenditore di Trezzano Sul Naviglio, provincia di Milano, voglio metterci la faccia senza paura per dire: la mafia, la camorra, l’ndrangheta, la sacra corona unita e le altre organizzazioni parastatali criminali fanno schifo e sono cancerogene per il sistema produttivo Italia. In un articolo del 2017 il giornalista de Il Sole 24 ore, Gianni Dragone, scriveva: “La mafia, secondo l’ultima commissione parlamentare antimafia (presidente Giuseppe Pisanu), avrebbe un fatturato, cioè ricavi pari a 150 miliardi di euro all’anno”. Parliamo di quella che è, ahinoi, a tutti gli effetti la prima società italiana per indotto. Continua Dragoni: “Avrebbe 40 miliardi di ricavi in più rispetto al primo gruppo italiano, Exor, che ha al suo interno Fiat-Chrysler, Ferrari, Cnh, le assicurazioni Partner Re, la Juventus (111 miliardi il fatturato 2016 di Exor)”. Sentite la bile montare? Io, onestamente, sì. In uno studio di pochi anni fa si ipotizzava che le mafie e sopratutto l’Ndrangheta , possiamo dire ndrangheta spa, producono profitti annuali per 105 miliardi di euro. Una banca come ad esempio Intesa San Paolo nel 2018 ha avuto 4,05 miliardi di utili. Enel nel 2019? 4,67 miliardi. Le briciole in confronto, ma ci rendiamo conto?
La ricerca condotta dal docente e professore universitario bocconiano Paolo Pinotti fa emergere che la criminalità organizzata sottrae allo Stato tra il 15% ed il 20% del Pil nazionale. Su Il Corriere della Sera l’economista ha dichiarato: “Lo studio è stato effettuato su Puglia e Basilicata, tre delle cinque regioni italiane Sicilia, Calabria e Campania dove è massiccia la presenza della criminalità organizzata. Queste cinque regioni sono anche le più povere in termini di Pil pro capite”. Capite? Abbiamo permesso che questa economia “privata” potesse mettersi in competizione con quella pubblica. Anche Roberto Saviano in un articolo di qualche giorno fa sulle colonne de La Repubblica si chiede: “L’Europa si sta ponendo l’unica domanda per difendere la sua economia reale? No. Ecco la domanda: chi rileverà i resort della Costa Azzurra o della Costa del Sol messe in ginocchio dalla crisi del turismo del 2020? Cosa succederà ai ristoranti di Berlino o ai pub di Londra rimasti chiusi per settimane o mesi per via del lockdown? Le case sfitte in decine di capitali europee chi le userà per comprarle e specularci? Il Dark Money, il denaro sporco non ha mai trovato come ora tante porte d’accesso spalancate e non controllate. La pandemia sta portando con sé ovunque l’usura, ma solo l’Italia sembra studiarlo”. Ed è proprio in una situazione come quella attuale che serve una risposta decisa e concreta da parte degli apparati dello Stato e sopratutto da parte della politica, che coinvolga la popolazione italiana. Il Governo nazionale non può limitarsi a gesti e parole, ma serve un’azione concreta. Bisogna passare dalle parole hai fatti non c’è più tempo! Del resto il poeta americano Ezra Pound era solito dire: “La base di uno Stato è la giustizia sociale”. Ed è questo tragitto che dobbiamo percorre anche noi come singoli cittadini. La saggezza popolare ci ricorda che ogni male viene dalla testa. Un monito da tenere sempre a mente.
Eppure ci sono uomini, uomini di Stato, che non si arrendono. “La lotta alla mafia è uno dei primi problemi da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Questo diceva Paolo Borsellino, magistrato italiano vittima della mafia e martire del tricolore. Morto per difendere l’integrità della Nazione. In quest’ottica, oggi, vanno ringraziati di vero cuore i tanti procuratori della Direzione distrettuale antimafia (Dda) sparsi su turro il territorio nazionale. Uno su tutti Nicola Gratteri. Gratteri si definisce un “infiltrato in magistratura”, come ha dichiarato a Il Foglio. Non si è mai iscritto a correnti e nella Magistratura viaggia da battitore libero. Nell’operazione “Rinascita-Scott”, da lui orchestrata, ha mostrato al mondo intero la commistione tra politica, mafia e massoneria. Il clan dei Mancuso, che controlla la provincia di Vibo Valentia, grazie al suo operato viene smantellato pezzo dopo pezzo. Negli ultimi 20 anni, per combattere contro la mafia, ha rinunciato a tutto tranne a due cose: “La prima è coltivare la terra. La seconda è andare nelle scuole per spiegare ai giovani perché non conviene essere ‘ndranghetisti”. Non dimentichiamo, ovviamente, tutti i Pubblici Ministeri della Dda di Milano che per anni hanno combattuto e che continuano a combattere con tenacia e coraggio le organizzazioni criminali operanti nel Nord Italia. Una su tutte l’ndrangheta che in questi decenni ha visto decimarsi le famiglie più potenti come i Barbaro e i Papalia.
Sono questi gli uomini di cui abbiamo bisogno. L’Italia chiama e le istituzioni rispondano presente come fanno le Forze dell’Ordine e i Magistrati e purtroppo non come fa la politica che ad ogni chiamata degli italiani non risponde mai se non a parole.
Tutti gli imprenditori italiani si devono unire a questa lotta contro le mafie, ci devono mettere la faccia senza avere paura, perché dove non arriva lo Stato devono arrivare i cittadini. La piccola e media impresa, sopratutto in meridione ma anche nel settentrione è stritolata da un gigante che con i suoi tentacoli blocca il motore economico tricolore e questo gigante ha un nome ben preciso: mafia. Come ha scritto nel rapporto, di qualche anno fa, mafia-imprese Confcommercio Milano, Lodi e Monza è “lo stesso imprenditore a cercare una collaborazione con il mafiosoimprenditore. Semplice anche è riconoscere il mafioso. È uno qualsiasi. Non si presenta con macchine lussuose. Non gira in doppio petto. La sua natura criminale è ben visibile anche durante i primi incontri. Dunque parola d’ordine è stare sempre attenti. Per questo motivo alziamo la testa e non facciamocela abbassare da nessuno. Non abbiate, cari colleghi imprenditori, paura di scegliere di stare dalla parte dello Stato. Vivete il vostro quotidiano sempre con la schiena dritta, perché quando guardate negli occhi i vostri figli deve trasparire, dal vostro sguardo, la fierezza e l’orgoglio di essere uomini onesti e liberi e non schiavi di qualcosa o di qualcuno.
Colleghi imprenditori, anche se purtroppo molte volte la politica e certe istituzioni non hanno tutelato le nostre aziende, opprimendoci con tasse ed imposte, dobbiamo tenere duro. Non possiamo permettere che chi non rispetta le leggi e le regole, facendoci concorrenza sleale, come la mafia e ‘ndragheta possano sconfiggere chi tutti i giorni con grande spirito di abnegazione, onestà e dedizione cerca di far vivere la propria attività piccola, media o grande che sia. Lo Stato e la politica devono, dopo anni e anni di promesse realizzare fatti concreti. Devono dare un segnale chiaro alle imprese oneste tramite un abbassamento drastico delle tasse e un taglio netto della burocrazia perché solo così le aziende italiane posso essere messe nella condizione di tornare competitive sul mercato. Solo così le imprese possono assumere e creare nuova occupazione, solo così le aziende sane hanno le armi perché più competitive di poter combattere le aziende in odore di mafia che con una concorrenza sleale spesso riescono a rubare alle aziende sane quote di mercato. www.IlGiornale.it