Gli anni Settanta
Gli anni Settanta erano pazzi, contraddittori, criminali. A volte chiusi dentro certi schemi, ma molto spesso completamente fuori, proprio come dei balconi. Erano anni vitali e mortali e molto provanti per lo spirito umano, ma di quel periodo tendiamo a ricordare solo gli aspetti bui. Qui sotto una carrellata di pensieri estemporanei.
Negli anni Settanta c’erano molte cose che poi si sono perse: tipo gli americani magri, che in Italia arrivavano con uno spirito a metà tra l’archeologo e l’antropologo, ed erano molto curiosi. Si sono persi i tedeschi che al mare erano umili e pieni di sensi di colpa per l’ultima guerra, coi loro costumi striminziti, il pancione da birra e il righino di fuori.
I fiumi “straripavano”, non “esondavano”. In autostrada noi bambini potevamo viaggiare sdraiati sulla cappelliera della Fiat 125.
Quelli di sinistra pubblicavano belle canzoni dove i giudici se la vedevano con i gorilla, e schifezze inenarrabili come “Porci con le Ali”. Fabrizio De Andrè ha continuato a scrivere fino alla fine canzoni bellissime. Quella del romanzo porcino, da una certa età in poi ha tirato i remi in barca ed è diventata quasi puritana. Quasi.
In chiesa c’erano i “complessi” che con la chitarra elettrica cantavano “dove troveremo tutto il pane”. La mia ultima frequentazione di una chiesa risale ai tempi in cui il papa si chiamava Paolo, e il vescovo di Torino era Michele.
Negli anni Settanta un operaio dei cantieri di un’azienda metalmeccanica di Torino, dopo sei mesi di trasferta si comprava la casa o la macchina.
Negli anni Settanta i calciatori dopo un gol esultavano in verticale, braccia alzate, diritti come candele; nei decenni successivi le celebrazioni sono diventate più asimmetriche, espressive, estemporanee, e il movimento verticale è stato distribuito più in orizzontale. La gioia incontenibile e “orizzontale” di Marco Tardelli ai mondiali del 1982, marca ufficialmente la fine degli anni di piombo (questa è un po’ tirata per i capelli).
Prima di certe amichevoli della nazionale, al suono dell’inno i giocatori capelloni restavano sparpagliati per il campo, ruminando gomme da masticare; non erano belli da vedere, ma non saprei scegliere tra loro e i soldatini di oggi che cantano tutti ispirati il più brutto inno in circolazione. Le frontiere erano chiuse, ma eravamo tutto tranne che nazionalisti; ora che le frontiere sono aperte, Mameli con la mano sul cuore ci sloga le mascelle e ci trapana i timpani.
Negli anni Settanta si potevano ancora fare cose completamente imbecilli, come adottare uno scimpanzè e trattarlo come uno di famiglia (documentario Project Nim) con risultati terrificanti: sette uomini prestanti non hanno la forza per immobilizzare uno scimpanzè adulto perennemente aggressivo e sessualmente eccitato. Però era bello quando c’era ancora la possibilità di fare cazzate incredibili.
Erano anni in cui un iconoclasta come Franco Battiato poteva fare cose così (da una sua intervista del 2015 al Fatto Quotidiano):
«Un centinaio di persone e il guru al centro, circondato da due leccaculo. Entro, mi sdraio per terra e me ne vado con la testa. Dopo cinque minuti sento una voce nelle orecchie e vedo il vicino che mi scuote: “Guarda che il guru ce l’ha con te”. Non gli piaceva che mi fossi sdraiato per terra: “Mi dica” gli faccio. E lui: “In quella posizione stanno solo gli animali” … “Si vede che sono un animale” dico soave e lo vedo impazzire. Gli si deformano i lineamenti e inizia a urlare. I leccaculo si agitano e si indignano, sembra mettersi male. Macchè, gira in trionfo: gli allievi se la prendono con il guru, lo cacciano. Li avevo liberati: fu un piccolo momento di gloria».
Dagli anni Ottanta in poi tutto ha cominciato ad omologarsi, gli americani da esportazione sono diventati obesi, e lo spirito umano si è molto appiattito. O così mi pare.