Il 2019: l’anno dell’assertività turca. E del tramonto europeo…
Il 2019 è stato, nel mondo, un anno ricco di eventi significativi, che hanno denotato ulteriormente la transizione dello scenario globale verso una situazione multipolare. Una transizione che non riguarda solo i player principali, come Stati Uniti e Cina, ma anche altre potenze che manifestano un rinnovato e crescente protagonismo. A partire dalla Turchia di Erdogan, agli onori delle cronache per i recenti accadimenti in Siria e in Libia, ma sempre più presente e assertiva anche in Asia Centrale.
Già, perché l’agenda neo-ottomana del “sultano” di Ankara, oltre che su quello religioso (largamente impiegato in Medio Oriente) si basa anche sull’elemento etnico. E il soft power di impronta pan-turca rivolto agli abitanti dei Paesi del quadrante centro-asiatico (Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Azerbaigian), ricchi di materie prime, suona come un richiamo alle origini più profonde di un territorio e di popoli che, sul fronte geopolitico, sono dominati dalle relazioni forti con la Federazione Russa e, grazie alla Nuova via della seta, alla Repubblica Popolare Cinese.
Si pensi, per esempio, al Consiglio Turco. Nato da un trattato siglato nel 2009, vede la partecipazione di Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia e Uzbekistan, mentre potrebbe presto aderire l’Ungheria di Viktor Orban, che ha presentato la domanda per lo status di “observer state” lo scorso mese di novembre. Un’alleanza che riguarda, allo stato attuale, una popolazione di oltre 144 milioni di persone con un PIL combinato di 1,13 trilioni di dollari. A questa si aggiunge il “World Turks Qurultai”, lanciato da Ankara nel 2017: un’organizzazione che mira a riunire i turchi “per l’integrazione culturale e spirituale“.
La Turchia, dunque, che con Russia e Cina dialoga su altri versanti, vi si oppone come potenziale rivale su molti altri. E, nel prossimo futuro, sarà una potenza con cui si dovranno sempre più fare i conti. E, soprattutto, dovrà farli un’Europa sempre più inesistente nei grandi teatri alle porte di casa.
Un’Europa succube e quasi inerte di fronte alla volontà di potenza di altri attori, sia emergenti che tradizionali. La Libia, ancora, è un caso esemplificativo, ma non solo. Basti pensare alla vicenda del gasdotto North Stream 2, colpito dalle sanzioni firmate dal presidente americano Donald Trump lo scorso 21 dicembre. “Nel mirino – come spiega l’AGI – ci sono le società coinvolte nel progetto da 11 miliardi di dollari per fornire circa 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno alla Germania dalla Russia passando sotto il Mar Baltico e dunque bypassando i Paesi di Visegard (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), gli Stati baltici e l’Ucraina”.
Mosca ha ora annunciato che il progetto “sarà completato nonostante le sanzioni che hanno umiliato i Paesi europei”. Nonostante i roboanti annunci del presidente francese Macron su un’iniziativa militare europea, infatti, le nazioni dell’Europa comunitaria continuano a essere palesemente considerate da Washington delle realtà statuali sottoposte da vincoli di vassallaggio. E, tra i primi a sconfessare i piani dell’inquilino dell’Eliseo, si è trovata la presidente della Commissione UE, Ursula Von Der Leyen, (di cui, su questo blog, già si era menzionata la comprovata fedeltà alle logiche atlantiche), la quale, in novembre, ha annunciato come l’Unione “non sarà mai un’alleanza militare”.
Così, mentre la Francia ha comunicato l’addio al contestatissimo Franco CFA in Africa occidentale, sostituito da una moneta che sarà agganciata all’Euro, la sensazione generale è quella di un’Europa che, vittima del suo stato di subalternità al tradizionale alleato d’oltre Oceano, continua a perdere colpi e influenza negli scenari più importanti e che non può neppure prendere posizione secondo i propri interessi in quella nuova guerra fredda tra l’Occidente angloamericano e l’Eurasia sino-russa che è ormai in pieno svolgimento.
Un tramonto, quello europeo, che va di pari passo con l’affossamento di una tradizione millenaria, schiacciata sempre di più da un politicamente corretto ormai penetrato a ogni livello della cultura ufficiale e istituzionale che manifesta un’insana volontà di morte, di autodistruzione. Di annientamento.