L’antropologo Mario Polia, classe 1947, è, fin dagli esordi di questa interessante e vivace esperienza editoriale e culturale, presenza fissa tra le pubblicazioni della casa editrice Cinabro, per la quale dirige la collana “Paideia”. Profondo conoscitore del patrimonio mitologico di più tradizioni (da quelle dell’antica Europa fino alle civiltà amerinde, suo oggetto di studio per lungo tempo), è da poco tornato sugli scaffali con un lavoro dedicato, questa volta, a un universo mitologico frutto della fantasia, del quale ha conoscenza non meno profonda: quello di Eä e di Arda, il mondo nato dall’immaginazione di John Ronald Reuel Tolkien, che vi ambientò la saga (che non ha certo bisogno di presentazioni) de “Il signore degli anelli”.

Il volume, dal titolo Mitologia tolkieniana. Fantasia e Tradizione, che vede anche la prefazione di Paolo Paron, presidente onorario della Società Tolkieniana Italiana, si prefigge lo scopo di dimostrare come i temi di fondo dell’opera del celebre filologo e scrittore britannico, lungi dall’essere, come nel caso di altri e più recenti autori del filone “fantasy”, un mero parto dell’immaginazione (non che vi sarebbe qualcosa di male, anzi. Come si spiega nel libro, proprio la fantasia, tanto vituperata in un’epoca in cui prevale ed è celebrata un’umanità perennemente calcolante, con la sua potenza creativa, è tra le capacità che maggiormente avvicinano l’essere umano a caratteristiche superiori e, financo, divine) sia piuttosto una rielaborazione di temi tradizionali (in particolare propri alle culture indoeuropee e, peculiarmente, nordiche, ma non solo), soprattutto in relazione ai suoi aspetti cosmogonici, che un ruolo primario hanno, per esempio, ne Il Silmarillion.

Tolkien, dunque, si abbevera alla fonte di archetipi eterni. La Fiamma Imperitura, per esempio, esprime il medesimo archetipo del Fuoco sempre Vivente delle tradizioni greca e vedica, nonché dello stesso fuoco di Vesta; così come anche la contemplazione del Silenzio e la creazione e l’armonia del cosmo attraverso il suono che procede dal Principio.

L’autore del saggio, peraltro, non manca di rilevare la potente critica di Tolkien alla società moderna delle macchine e del profitto, una critica che emerge prepotentemente e senza equivoci, solo per fare un esempio, dal modo in cui sono rappresentati e descritti gli ambienti in cui hanno sede alcuni tra i principali antagonisti della saga: dalla fortezza di Mordor alle “officine” di Isengard, il disequilibrio e lo sfruttamento violento della natura a fini di dominio si stagliano come squarci sul dipinto bucolico della Terra di Mezzo, nato dall’armonia del canto degli Ainur e che Morgoth, il male primigenio, incarnazione della suprema hybris luciferina, ha tentato di corrompere con la sua dissonanza.

Dalle pagine dell’ultima opera di Mario Polia si evince, quindi, con chiarezza cristallina il motivo per cui generazioni di esponenti di un mondo ideale definibile come “tradizionalista” abbiano apprezzato le opere di Tolkien e le abbiano sentite proprie. Tolkien, in definitiva, è davvero l’ultimo erede della grande tradizione epica. Una tradizione che, ai giorni nostri, non potendo forse pescare dalla grigia e spenta esperienza di una quotidianità post-spirituale e post-eroica, deve forzatamente trovare i propri spazi nel reame del fantastico.

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