Putin l’Africano. Il ritorno di Mosca nel Continente Nero
Lo scorso ottobre il Moscow Times ha rivelato che almeno sette contractors russi erano morti in Mozambico dopo essere caduti in una serie d’imboscate effettuate ai miliziani jihadisti di al-Sunnah, una gemmazione africana dello Stato Islamico. La notizia ha acceso i riflettori sia sull’inquietante avanzata della guerriglia fondamentalista sunnita nell’Africa meridionale sia sulla presenza, sino allora discreta, dei “soldati di ventura” di Mosca nel Continente. I 160 uomini presenti nell’antica colonia portoghese a fianco dell’esercito regolare si sommano alle altre unità combattenti attive nella Repubblica Centroafricana, in Sudan e in Cirenaica con le truppe del generale Haftar. Un piccolo esercito di “consulenti” arruolato sotto le bandiere delle Private Military Company Wagner di Evghenij Prigozhin, meglio noto come “lo Chef di Putin”, per la sua vicinanza al presidente e i suoi interessi (anche) nel settore del catering.
Al netto della sulfurosa leggenda che lo circonda, Prigozhin è uno dei personaggi chiave della nuova politica africana del Cremlino inaugurata ufficialmente a Soci il 25-26 ottobre scorso con il primo summit Russia-Africa. In quell’occasione, davanti a 43 capi di Stato o di governo, Vladimir Putin ha annunciato il grande ritorno di Mosca sulla scena africana. Un passaggio importante che pone fine al lungo disinteresse dopo la mesta ritirata dal Continente seguita alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, e un radicale cambio di paradigma. Si ritorna non più in nome di un’ideologia (fallimentare) o di solidarietà terzomondiste (molto pelose…) ma per investire, costruire e (possibilmente) restare. Come ciliegina sulla torta e gradita sorpresa per gli ospiti, lo zar ha formalizzato la cancellazione di 20 miliardi di dollari in debiti accumulati nell’era comunista.
Uno sforzo ambizioso considerato l’attuale volume di scambi abbastanza modesto (19 miliardi di dollari nel 2018) se confrontato a quello con la Francia (51 miliardi), gli Stati Uniti (61 miliardi) e, soprattutto, con la Cina (ben 204 miliardi), ma Putin, come è noto, è un decisionista: concludendo il summit ha fissato l’obiettivo a 40 miliardi d’interscambio in cinque anni.
Per recuperare terreno sulla concorrenza la Russia offre ai leaders africani un vasto pacchetto di proposte: infrastrutture, trasporti, istruzione, nuove tecnologie. Il vero punto di forza è indubbiamente il nucleare civile: Rosatom, la compagnia di Stato, è impegnata sul Nilo nella costruzione della prima centrale egiziana mentre l’Etiopia del giovane premier Abiy Ahmed e il Sudan hanno avviato negoziati.
A Soci si è parlato d’affari ma anche di grande politica e, con riservatezza, di armamenti. Un tema delicato: la Russia ha accordi di cooperazione militare con 20 paesi africani ed è infatti il primo fornitore di armi dell’area, con il 35 per cento rispetto al 17 cinese e il 9,6 americano. Putin l’ha presa alla larga e, forte del successo siriano, si è proposto come leader di una potenza globale, unico antemurale al fondamentalismo islamico: «Il terrorismo, la pirateria, le primavere arabe impediscono lo sviluppo, la Russia sosterrà tutti gli sforzi del G5 del Sahel (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger, Chad) nella battaglia contro il terrore». Dalla platea applausi e tanti inviti. Il presidente del Mali Ibraihim Boubacar Keita ha chiesto subito «un appoggio, che sarà certamente più pertinente ed efficace» di quello fornito sino ad oggi dall’Europa e il ciadiano Idriss Dèby, uomo forte della regione, ha rincarato «il vostro sostegno è essenziale per la stabilità del Sahel». Tra le righe una sfida alla Francia, l’antica potenza coloniale dell’area, e al (da tutti) poco stimato presidente Macron.
Nulla di nuovo, in verità. Da anni i russi sono presenti in forze proprio nel cuore della FranceAfrique, la Repubblica Centroafricana. Nel 2017 Mosca ha ottenuto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu una deroga sull’embargo delle armi, in vigore dal 2013, per donare armamenti e iniziare un programma di addestramento delle Forces armées centrafricaines (FACA). Con gran irritazione di Parigi, assieme ai fucili d’assalto, mitragliatrici e lanciarazzi Rpg arrivarono anche 175 consiglieri militari russi. Un primo passo. Nel marzo 2018 la guardia di palazzo è stata rafforzata da una sezione delle forze speciali di Mosca al fine di assicurare la “prima cintura” di sicurezza del presidente Faustin Archange Touadéra. In cambio il governo di Bangui ha concesso a due società russe — Lobaye Invest e la Sewa Security Service — lo sfruttamento dei giacimenti di Ndassim, Birao, Bouar e Bria. Un regalo gradito poichè le aziende sono di proprietà proprio di Evgeny Prigozhin. Da allora a difesa delle miniere c’è un muscoloso contingente della Wagner.
Le attività africane dei foreign fighters russi rimangono avvolte da una fitte coltre di mistero e cercare di forarla è pericoloso. Molto pericoloso. Due anni fa Kirill Radchenko, Alexander Rastorguyev e Orkhan Dzemhal, tre dipendenti dell’oligarca antiputiano in esilio Mikhail Khodorkovsky che indagavano in Centrafrica sugli affari di Prigozhin, sono stati accoppati. Per Mosca un caso d’incoscienza. I tre si erano rifiutati di seguire le indicazioni dell’ambasciata…