Per Giuliano Besson, lo splendido “ribelle” della Valanga Azzurra
Per i ragazzi invecchiati degli anni Settanta la Valanga Azzurra è più di una dolce memoria. In quell’Italia opaca, intristita dall’austerity e straziata dalla violenza politica la clamorosa vittoria il 7 gennaio 1974 nello slalom gigante di Berchtesgaden — cinque italiani ai primi cinque posti — fu un raggio di sole, un’iniezione di sano ottimismo e (perché no?) d’inconfessabile orgoglio nazionale. Finalmente, dopo il lungo strapotere degli austriaci e l’epopea del francese Claude Killy, dei fantastici ragazzi italiani — Gustav Thoeni e Piero Gros e poi Marcello Varallo, Herbert Plank, Paolo De Chiesa, Fausto Radici, Ilario Pegorari, Erwin Stricker, Tino Pietrogiovanna, Stefano Anzi, Roland Thoeni e Giuliano Besson — sconvolgevano equilibri e schemi dello sci internazionale, entusiasmando il Patrio stivale.
Purtroppo pochi giorni fa è venuto mancare un altro di questi meravigliosi matti: Giuliano Besson, il campione di Sauze d’Oux, un personaggio tosto quanto interessante. Per fortuna prima di andarsene Giuliano ha voluto raccontarsi ad Augusto Grandi, un suo vecchio amico ma, soprattutto, un’ottima penna, un’intelligenza libera felicemente irriverente. Il risultato di tante lunghe chiacchierate è diventato così un bel libro “Giuliano Besson, il ragazzo terribile della Valanga Azzurra” (Cicles, pp. 103, euro 16, 90).
Con empatia, levità ed accuratezza, Grandi ripercorre gli esordi sulle nevi piemontesi, le vittorie —tra tutte i titoli italiani in discesa libera nel ’72 e ’74 e il trionfo in Cile nel 1973 sulla pista più veloce del mondo —, le delusioni, gli amori fuggevoli e pirotecnici, gli scherzi — memorabile quello a Thoeni… — intrecciando il tutto con il progressivo amalgama del gruppo sotto lo sguardo attento del direttore tecnico francese Bernard Favre che trasformò «ragazzi in uomini con allenamenti fisici e mentali e che da alcune giovani promesse creò un gruppo di atleti veri».
Tante luci ma anche molte ombre. Giuliano le ha volute, con estrema onestà, raccontare tutte. Come al solito succede in Italia ad avvelenare i successi furono i vertici, per l’occasione quelli della Federazione dello sci; una mala gestione talvolta miope e stupidamente conservatrice, spesso molto attenta ai solidi interessi privati di poche scrivanie e del tutto indifferente a chi lo sport lo praticava davvero, con rischi e sacrifici.
Nel 1975 i ragazzi del Circo Bianco ne ebbero abbastanza degli incuci dei “capi” e decisero di vederci chiaro. «Lo scontro non era legato ad una richiesta di più introiti per noi», puntualizzava Besson, «ma volevamo sapere dove finivano i soldi. Volevamo sapere perché si cercavano accordi con determinati marchi, escludendo gli altri. E volevamo che i soldi servissero per una diversa organizzazione con investimenti tecnici e sui consulenti scientifici». Insomma, richieste di buon senso che però irritarono (e preoccuparono assai) i mega dirigenti che, protetti dalle istituzioni e dagli sponsor, ebbero buon gioco a isolare Besson e Anzi, i due portavoce della protesta, per radiarli con ignominia.
Una brutta, bruttissima faccenda, prodromica al veloce appannarsi della Valanga e risolta dieci anni dopo in tribunale con una sentenza che finalmente dava giustizia ai “gemelli della velocità” — che devolvettero in beneficienza l’intera cifra ottenuta come rimborso — e torto marcio alla FISI. Troppo tardi per riprendere la carriera sportiva, certo, ma intanto gli ingegnosi ribelli non erano rimasti con le mani in mano. Anzi.
Grazie all’esperienza accumulata negli anni, la dinamica coppia nel 1976 creò dal nulla AnziBesson, un’impresa innovativa di abbigliamento sportivo: tute, accessori e materiale tecnico impreziositi da una cura maniacale nella scelta dei tessuti, dei materiali; innovazioni continue, un’esplosione di colori nelle collezioni, un nuovo modo di vestire lo sci che entusiasmava gli sciatori della domenica e accoglieva le severe esigenze delle diverse nazionali straniere. Tra tutte quella austriaca seguita da presto da Francia, Canada, Ucraina, Bielorussia, Grecia, Belgio, Cile. Un successo pieno quanto meritato.
Ma il colpo grosso arrivò nel 2000 quando Besson venne inviato in Russia per discutere di una possibile fornitura. Al suo arrivo venne portato in una dacia di montagna dove ad attenderlo trovò Vladimir Putin in persona che, indossato il giaccone AnziBesson, portò l’incredulo piemontese su una pista illuminata per una bella sciata serale conclusasi con una ricca cena innaffiata da bottiglie di Sassicaia, piccolo dono di Berlusconi al suo amico Vladi. Inutile dire che da allora la nazionale dello zar iniziò a vestire italiano e più precisamente, valsusino. Già, perché il nostro campione diventato imprenditore ha sempre mantenuto un fortissimo legame con il suo territorio, la sua gente. Una rarità al giorno d’oggi….
Il libro di Augusto Grandi ha quindi una doppia lettura e un doppio merito. Ci racconta una vicenda umana e sportiva importante (quanto, per alcuni cialtroni, tuttora fastidiosa) e allo stesso tempo una storia di successo ma soprattutto di lavoro, ricerca, intelligenza, coraggio. Il tutto suggellato da una profonda amicizia tra due uomini di montagna capaci entrambi di andare oltre e guardare lontano, molto lontano. Bene così. Ciao Giuliano.
