Un tumore sta divorando l’Europa. Il suo “Leib”, il corpo vivente della volontà, del destino, sta marcendo. La malattia è antica quanto crudele e risale al 1789. Da allora, attraverso due devastanti guerre mondiali, siamo arrivati alla fase terminale, il momento annunciato da Julien Freud in cui l’Europa si ritrova «ormai impotente ad accettare il destino che fu suo nei secoli… la fine della prima civiltà di segno universale che il mondo abbia conosciuto».

Partendo da queste amare premesse Adriano Segatori, intelligenza brillante e penna acuminata, delinea un’analisi impietosa quanto salutare con un libro prezioso come “L’Europa tradita e l’agonia di una Civiltà” (prefazione di Souad Sbai, Ed. Admaiora, Trani, 2020, ppgg. 160. Euro 15,00). Si tratta un lavoro profondo e complesso su cui si estende una trama densa — sorretta da riferimenti inusuali che (magari) sorprenderanno i lettori meno avvertiti e (di certo) spiazzeranno i critici malevoli — che s’inoltra coraggiosamente oltre i confini del politicamente corretto, del buonismo globalista, del gesuitismo criptomarxista di Bergoglio ed amigos.

Da ottimo psichiatra quale è, Segatori indaga con minuzia il grande organismo moribondo e diagnostica le sue malattie; prima tra tutte vi è il morbo del razionalismo che, posto a fondamento sacroide, si è trasformato «in una condizione di fanatismo teofilantropico che ha raggiunto forme parossistiche e deliranti nella presente attualità». Da qui, nei più, la rassegnazione e l’accettazione di ogni dogma imposto, in primis l’invasione allogena, grande inganno morale e, per alcuni, gigantesco affare.

Forte di dati e numeri, l’autore non fa sconti e inchioda con precisione registi, attori e comprimari del fenomeno: gli sponsor sauditi, qatarioti e turchi dell’Islam radicale, gli aspiranti stregoni occidentali (gli USA tra tutti) che con le loro strategie perdenti hanno devastato il Medio Oriente, i “negrieri buoni” d’Europa che blaterano di un mondo multiculturale e intanto lucrano sull’accoglienza.

Sullo sfondo l’ideologia dei diritti umani, pienamente funzionale al turboliberismo occidentale degli “ottimati” e al loro progetto di società liquido-moderna, quella galassia — riprendendo Bauman – in cui «non c’è più spazio per martiri ed eroi». E neppure per identità, differenze, tradizioni, storia. Politica. Un’utopia tossica fallita in partenza, come sottolinea Segatori che esamina le disastrose esperienze d’integrazione nord europee e francesi dove gli “ospiti” dopo aver preteso «l’eliminazione dei crocifissi, l’adeguamento scolastico delle mense, l’epurazione dei testi scolastici, alzano il tiro nell’esigere moschee, cibo halal, riconoscimenti delle scuole coraniche e altre richieste isolazioniste». Il risultato finale è un «monoculturalismo plurimo nel quale uno, più forte degli altri, alza la posta di reclami e prepotenze sempre più pressanti e di carattere tribale».

Le pagine più fulminanti l’autore le riserva però alla teo-politica pauperista di Bergoglio, sideralmente lontana dal sacro e pervicacemente ostile alle tradizioni italiane ed europee. Una Chiesa che ha ormai estromesso la verità rivelata «per accondiscendere nell’indeterminatezza spontaneista e nel relativismo indistinto: basta pensare a certi gesti papali, come accettare il crocifisso a forma di falce e martello, abbracciare ed esaltare l’abortista soroniana Bonino, accogliere rappresentanti gay, fino ad arrivare al caos politico sociologico del fenomeno migratorio e il silenzio assordante sul genocidio dei cristiani».

Un quadro crudo, disincantato, vero. Ma il libro di Segatori non è (e non vuol essere) un lungo cahier de doléances, un semplice atto d’accusa o, tanto meno, un nostalgico appello ai mitici quanto improbabili “bei tempi andati”. Riprendendo Nietzsche e la sua “filosofia del martello”, lo scrittore indica soluzioni, possibilità, prospettive di salvezza e di ricostruzione. Ancora una volta l’approdo è nella Sovranità, intesa, riprendendo l’assunto di Carlo Galli, come garanzia del trinomio legge, potere e libertà. Per Adriano Segatori «la Sovranità è il Politico: la massima espressione di decisione di uno Stato, di una nazione nel determinarsi autonomamente nel rispetto spaziale, economico e giuridico degli altri Stati. È nella Sovranità che si riconosce il popolo, e questa lo crea nella formazione dei suoi cittadini. Essa è la fautrice e detentrice dell’ordine interno, nonché il dispositivo assoluto nella difesa dei suoi componenti individuali». Parole su cui riflettere e approfondire.

 

 

 

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