Ecco quanto guadagnano banchieri e assicuratori
I primi 100 manager di società quotate nel 2012 hanno guadagnato 402 milioni di euro, 50 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente. Ma l’analisi del Sole 24 Ore che abbiamo ripreso lunedì sul Giornale era incentrata sugli amministratori delegati e sull’alta dirigenza di Piazza Affari. In classifica, eccezion fatta per l’ex Chief Risk Officer di UniCredit Karl Guha e il Ceo di Intesa Sanpaolo Enrico Tomaso Cucchiani, non compaiono banchieri. Anche gli assicuratori sono pochi: l’ex Group Ceo delle Generali Giovanni Perissinotto nel 2012 ha ricevuto dal Leone un compenso di 11,6 milioni (di cui 10,6 milioni di buonuscita e patto di non concorrenza), l’ex dg di Fonsai (e attuale direttore finanziario di Telecom) Piergiorgio Peluso ha incassato 4,9 milioni, mentre il capo di Cattolica, Giovanni Battista Mazzucchelli ha percepito 2,3 milioni.
Mancava una vera e propria classifica del settore finanziario. Basandoci su una ricerca dell’Ufficio Studi Uilca dedicata al comparto assicurativo e consultando le relazioni sulla remunerazione presentate in assemblea dalle principali istituzioni italiane abbiamo stilato una «nostra» classifica.Abbiamo considerato i principali gruppi quotati del settore bancario (Intesa, UniCredit, Mps, Banco Popolare, Ubi, Bper, Bpm, Banca Carige e Mediobanca) e assicurativo (Generali, Fonsai, Unipol, Milano Assicurazioni, Cattolica Assicurazioni e Vittoria Assicurazioni).
Ci siamo dati poche semplici regole:
- Abbiamo considerato solo compensi superiori a 250.000 euro. In un grande gruppo i consiglieri di amministrazione sono retribuiti adeguatamente e fra compenso e gettoni di presenza si fa presto ad avvicinarsi a quota 200.000 euro. Includerli non avrebbe restituito uno specchio veritiero della situazione.
- Non abbiamo incluso i compensi percepiti da controllate e collegate. Avrebbero superato la soglia una decina di nominativi non influenti, mentre i grandi manager generalmente ricevono compensi più o meno light dalle «consorelle». Ci sono alcune eccezioni, anche significative: abbiamo considerato Unipol-Fonsai-Milano come un grande gruppo così come un gruppo era la Fonsai-Milano dell’era Ligresti. Nella classifica entra anche l’ex direttore generale di Intesa, Giuseppe Castagna, proprio per quel ruolo al quale era stato promosso a fine 2012 dopo aver guidato la controllata Banco di Napoli.
- Non abbiamo inserito i defunti. Si tratta di una questione di rispetto e di carità cristiana.
Pertanto, eccola qui.
(Se non la vedete bene scaricandola da Flickr, potete prendervi il pdf qui)
Vi diciamo subito chi non c’è. Manca un nome famoso che è quello di Alessandro Profumo, il presidente del Monte dei Paschi. Come ha dichiarato nell’intervista a Virus mercoledì scorso, quella di Siena per lui è soprattutto una sfida. Lo dimostra anche la relazione sulla remunerazione del Monte: i primi 8 mesi di presidenza gli sono valsi 61.909 euro, lo stipendio di un impiegato di alto livello. È chiaro che l’emozione sta tutta nella difficoltà di riportare la banca alla redditività e a restituire il prestito da 4 miliardi di euro concessole dallo Stato.
Passiamo ora alla parte più interessante. La «top 5» dei compensi. Anche qui, però, ci vuole una piccola premessa: la voce «Benefit & Altro» riguarda tanto i compensi non monetari quanto gli altri compensi che vengono percepiti perché si ricopre un ruolo da dipendente nella compagnia come può essere quello di un direttore generale. L’abbiamo fatto per sintesi, ma per quanto riguarda i primi posti la voce è ininfluente. Analogamente è inclusa nel compenso la voce «equity» che è la parte della paga corrisposta in azioni diverse da quelle rivenienti dai piani di stock option (generalmente assegnate a titolo gratuito). Altro dettaglio: i primi cinque che stiamo per presentarvi non sono i primi cinque della classifica perché, come vedrete, i primi posti sono occupati dalle «buonuscite» milionarie. I banchieri non gradiscono vedere le remunerazioni associate al Tfr (e alle somme corrisposte per non accettare nell’immediato un impiego in un’azienda concorrente). Effettivamente non si può dar loro torto: si viene pagati per quello che si fa, quando si lascia il posto di lavoro in Italia è prassi ricevere questo bonus talmente particolare che, per esempio, in Gran Bretagna non esiste. Se avete avuto la pazienza di arrivare fino qui, eccovi i magnifici cinque:
Al primo posto c’è il Ceo di Intesa, Enrico Tomaso Cucchiani che nel 2012 ha totalizzato 3.937.000 euro.
In seconda posizione, l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, con 2.996.338 euro.
In terza posizione il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, con 2.597.673 euro.
In quarta posizione il direttore generale di UniCredit, Roberto Nicastro, con 2.460.938 euro.
In quinta posizione il capo del gruppo Unipol-Fonsai, Carlo Cimbri, con 2.378.676 euro.
Come vedete sono cifre con sei zeri, ma non sono particolarmente eclatanti perché nel caso di Cucchiani, Ghizzoni e Nicastro è la parte equity dei compensi a far lievitare le retribuzioni che altrimenti resterebbero ancorate alla soglia dei due milioni. Non deve far pensare, poi, che il presidente di Mediobanca guadagni più del suo amministratore delegato Alberto Nagel (2.268.594 euro): il numero uno di Piazzetta Cuccia ha numerose competenze, a partire da quelle che riguardano le principali partecipazioni della banca. E anche Cimbri «merita» il suo compenso perché è alla testa del secondo gruppo assicurativo italiano, una responsabilità non da poco. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, il fatto che i manager di due delle principali investment bank italiane come Nagel e Gaetano Micciché di Intesa (capo di Banca Imi) gudagnino all’incirca 2 milioni di euro, vuol dire che quest’attività – che è l’unica a portare reddito nel sistema finanziario con le operazioni di fusione e acquisizione e con la finanza straordinaria (ristrutturazioni del debito, aumenti di capitale, emissioni obbligazionarie, ecc.) – non viene adeguatamente valorizzata.
E ora vi spieghiamo il perché. Partendo da un semplice esempio. Se avete investito i vostri risparmi in titoli azionari di queste società, dovreste un po’ avere l’atteggiamento del tifoso di una squadra di calcio. Il banchiere di investimento è il centravanti del gruppo bancario e/o assicurativo. Se volete assicurarvi Balotelli, Ibrahimovic, Tévez o Mario Gomez, dovete essere in grado di fare calciomercato. Quando si libera una casella in una banca italiana cominciano a circolare nomi di famosi banchieri di investimento (come Andrea Orcel di Ubs) o di supermanager di successo (come Andrea Guerra di Luxottica). Dello stipendio di Orcel non accenniamo, Guerra a Luxottica ha guadagnato nel 2012 4 milioni di stipendio e 10 milioni con azioni gratuite. Quale banca italiana è in grado di pagare queste cifre? Prima di sparare sermoni moralistici e lamentarsi della scarsa redditività del settore finanziario italiano bisognerebbe fare queste valutazioni.
Terminata la peroratio, possiamo passare alla parte critica e qui ci avvaliamo delle osservazioni della Uilca. «Confrontando le remunerazioni dei manager del settore assicurativo oggetto della ricerca si nota come la parte fissa e variabile siano in quasi equilibrio, questo mostra come nelle imprese multinazionali la parte variabile della retribuzione, spesso legata a sistemi premianti, sia la norma. Nel settore bancario italiano invece prevale la quota fissa della retribuzione rispetto a quella variabile». Qui sta il busillis e lo vedete pure dalla tabella. La parte variabile dello stipendio è generalmente di gran lunga inferiore a quella fissa (l’unica eccezione è l’ad di Vittoria Assicurazioni, Roberto Guarena, che ha il variabile più alto del sistema con 445.000 euro). Questo vuol dire che se le cose vanno bene o male, poco importa: lo stipendio si porta sempre a casa almeno fino a che il cda avrà fiducia nel proprio manager.
È quello che si nota nei Comitati per la remunerazione dei cda italiani. Quando si deve fissare la paga del manager si interpella un consulente esterno che fornisce un quadro dei compensi del settore scandagliato in quartili (i valori vengono distribuiti in aree che rappresentano il 25% dell’insieme considerato). La scelta ricade quasi sempre sul secondo quartile, cioè sui compensi che sono superiori al 50% dei casi esaminati e inferiori al 25% più alto. Le retribuzioni così aumentano sempre un po’, ma senza dare troppo nell’occhio. E, d’altronde, tutta l’Italia, a cominciare dalla politica, funziona un po’ così. È anche normale che il sindacato si lamenti se da una parte i posti di lavoro vengono ridotti e dall’altra non è visibile la corrispondenza fra risultati raggiunti e retribuzione. Al di là dei legislatori comunitari che vorrebbero intervenire sulle modalità che collegano gli incentivi alla realizzazione degli obiettivi, non bisogna dimenticare che è la povertà e non la ricchezza che si deve combattere. Ma questo molti fanno finta di non saperlo.
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