Il prezzo che Putin pagherà per la crisi ucraina
Chiamatela grandeur russa di Putin, chiamatela autodeterminazione del popolo di Crimea, ma l’evoluzione della crisi ucraina getta molti interrogativi sulla tenuta dei mercati internazionali. Finora le Borse mondiali hanno retto, ma si può continuare a investire tranquilli in questo particolare momento? La risposta è sostanzialmente positiva, ma bisogna sapere che il conto di queste operazioni geopolitiche molto probabilmente sarà pagato dalla stessa Russia. Che, occorre ricordarlo, è una potenza mondiale oltreché uno dei maggiori Paesi emergenti dopo Cina e Brasile.
Per capire cosa accadrà in Russia ci siamo affidati a un’analisi degli esperti di Ubs che hanno esaminato la situazione di Mosca sotto il profilo macroeconomico. E i rischi sono di tre tipi:
- La Russia rischia comunque di restare travolta da un default dell’Ucraina, un Paese in gravissime condizioni economiche che hanno accelerato la defenestrazione dell’ex presidente Yanukovich.
- La Russia rischia di subire pesanti sanzioni da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e queste punizioni potrebbero peggiorarne ulteriormente i fondamentali.
- La Russia è già di fatto precipitata in una stag-flazione: la crescita economica sta rallentando, gli investitori esteri si allontanano da Mosca e la Banca centrale ha aumentato il tasso di sconto al 7% per cercare di frenare i deflussi di capitali allettando gli investitori con i rendimenti (ma di fatto aumentando l’inflazione).
Economia col fiato corto, rublo debole
Questa situazione ha portato gli analisti di Ubs ad abbassare le stime di crescita del Pil russo da +2,5% a +1,5% nel 2014 e a +2% (da+2,8%) l’anno prossimo. Non è la tristezza italiana (ed europea), ma in macroeconomia per accelerare ci vuoleuno sorzo doppio rispetto a quello della frenata. Basti pensare che solo due anni fa Mosca cresceva del 3,4% e solo l’anno scorso si è piantata all’1,3%. Come detto, la flessione è dovuto a un calo degli investimenti sia privati sia soprattutto pubblici (il governo di Putin ha terminato una serie di grandi opere e nuovi cantieri per ora non sono previsti). E anche i giganti di Stato dell’energia come Gazprom e Rosneft ci stanno andando cauti con le spese.
Certo, non sono le cifre di un collasso, soprattutto tenuto conto del fatto che la disoccupazione in Russia è bassa rispetto ai nostri standard (5,6%) e che i consumi privati continuano a crescere anche se molto moderatamente. Ma è chiaro che l’incertezza geopolitica potrebbe peggiorare anche la situazione interna con un’inflazione che non si schioda dal 6%. Il surplus delle partite correnti continua a essere sostenuto da un rublo che negli ultimi 12 mesi ha perso il 10% circa rispetto al paniere di riferimento (composto per il 55% dal dollaro e per il 45% dall’euro) e un taglio dei tassi di interesse (dopo la recente manovra restrittiva) è atteso nel prossimo trimestre. Ma è chiaro che eventuali sanzioni potrebbero destrutturare tutto il quadro.
Il rebus energetico
In realtà, la crisi ucraina è dovuta anche alla nuova impossibilità di Kiev di far fronte ai pagamenti a Mosca per il gas del quale è grande importatrice come tutto il resto d’Europa. Secondo alcuni analisti, l’espansionismo russo sarebbe legato anche alla volontà di allargare nei mercati russofoni la presa dei due colossi legati allo Stato, per l’appunto Rosneft (petrolio, adesso primo azionista di Pirelli e partner di Saras) e Gazprom (gas). Intanto, la possibilità ce vengano applicate sanzioni non solo potrebbe limitare la commercializzazione del gas russo, ma potrebbe mettere a rischio la costruzione del gasdotto South Stream pensato per bypassare l’ondivaga Ucraina, sempre pronta a fare la cresta sul gas che transita sul suo suolo (per motivi economici, si intende).
Wall & Street