Caro Visco, lo sai che la Calabria si compra una banca?
Oggi si celebra l’assemblea dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia. Sarà la prima assise dell’«era Renzi» ed è inevitabile, come da prassi, che il governatore Ignazio Visco non colga nelle Considerazioni Finali l’occasione per elencare il cronico ritardo del nostro Paese in materia di riforme, soprattutto in ambito fiscale. D’altronde, l’autorevolezza del relatore già di per sé rafforza il contenuto delle affermazioni. La politica, come al solito, farà orecchie da mercante.
Ma non è di questo che vogliamo parlarvi né del probabile richiamo alle Popolari di maggiori dimensioni ad aggiornare la propria governance (è oltre un anno che Visco lo ripete e anche lì hanno fatto orecchie da mercante), ma di un caso singolare che chiama in causa Via Nazionale e il suo ruolo di Authority di vigilanza del sistema bancario italiano.
Sabato scorso si è svolta l’assemblea della Banca Popolare delle Province Calabre (Bppc), un piccolo istituto con sede a Reggio Calabria e direzione a Lamezia Terme. Ecco le dichiarazioni del presidente Sergio Giordano. «Le nuove regole impongono alle banche piccole di crescere e hanno imposto anche a noi di puntare a un patrimonio di vigilanza più ampio. Per noi si trattava in ogni caso di una scelta dovuta, perché puntavamo a tutto il mercato regionale. La scelta protende verso Fincalabra, la finanziaria della Regione Calabria, il cui intervento nel capitale sociale della banca ci proietterà verso quello sviluppo che trovava un limite nel nostro patrimonio. Dopo l’entrata di Fincalabra la banca è proiettata a diventare la banca del territorio dei calabresi».
Per rendere effettivo l’accordo è necessaria la trasformazione in società per azioni. «Per consentire tale operazione – prosegue Giordano – sarà chiesta a Banca d’Italia l’autorizzazione alla trasformazione in società per azioni, ciò consentirà l’intervento di capitali non soltanto di Fincalabra, ma anche di capitali di altri imprenditori molto attenti ai loro investimenti e disponibili a un interessenza con la nostra banca. Le banche popolari hanno il limite di partecipazione all’uno per cento del capitale sociale, mentre dopo la trasformazione in S.p.A. sarà possibile aprirsi a partecipazioni molto più consistenti. Senza intaccare il ruolo di ciascuno dei 1.900 soci, che rimane centrale, e che sarà contemperato dalla formazione degli organi sociali secondo un processo di integrazione tra vecchia e nuova compagine sociale». Il ruolo di Fincalabra sarà «di indirizzo e di controllo sulla gestione della banca».
In realtà, la situazione è un po’ più complessa di come la descriva il presidente Giordano. Il bilancio 2013 della Bppc descrive una realtà ben diversa. Al 31 dicembre scorso la banca aveva un patrimoni netto di soli 6,123 milioni. Gli impieghi rappresentavano il 117% della raccolta (28 milioni). I non performing loans (sofferenze+incagli+ristrutturati+scaduti) sono il 48% dell’attivo. Le sole sofferenze rappresentano il 17,5% del totale. Rettifiche per 6 milioni (l’ispezione di Bankitalia, cominciata a marzo ne ha chieste per 1,7 milioni) hanno portato la perdita 2013 a 1,8 milioni. Nella semestrale peseranno ulteriori nuove svalutazioni per 609mila euro.
La società di revisione BDO ha evidenziato che:
- il presupposto della continuità aziendale è soggetto a molteplici significative incertezze con possibili effetti cumulativi rilevanti sul bilancio ed anche difficoltà nella recuperabilità delle imposte anticipate iscritte per circa euro 1.477 mila;
- le molteplici incertezze non permettono di esprimere un giudizio sul bilancio della banca al 31/12/2013;
- le molteplici incertezze non permettono di esprimere un giudizio di coerenza della relazione sulla gestione redatta dall’organo amministrativo con il bilancio redatto al 31/12/2013.
Bppc cercava già da tempo un partner ma nessuno l’ha acquisita. e gli aumenti di capitale lanciati nel 2012 e nel 2013 hanno fruttato poco meno di 460mila euro a fronte di una richiesta ai soci di 1,5 milioni. Il collegio sindacale non ha potuto esimersi dal rilevare che «ove non si concretizzassero favorevolmente – e prima dello svolgimento dell’assemblea chiamata a deliberare l’approvazione del bilancio – le diverse iniziative in corso finalizzate al rafforzamento patrimoniale, diventerebbe assolutamente necessario, al fine di evitare possibili drastici provvedimenti dell’Organo di Vigilanza, perseguire in maniera ancora più incisiva la soluzione di una forte aggregazione con altro istituto di credito, ove ancora possibile, o l’ipotesi prevista della liquidazione volontaria».
Eppure che qualcosa non funzionasse lo si poteva capire dal fatto che il precedente consiglio di amministrazione era stato sanzionato per irregolarità da Bankitalia nel marzo 2013.
Invece Fincalabra, la holding della Regione Calabria, avrebbe deciso di investire per «salvare» questo piccolo istituto a vocazione territoriale. Anche acquisendo una minoranza non si potrebbe non parlare di un aiuto di Stato. I calabresi (e tutti gli italiani) avrebbero ragione di domandarsi che ne è dei soldi versati con le loro tasse giacché l’erogazione di credito a famiglie e imprese non è affare pubblico (la Cassa Depositi e Prestiti eroga mutui agli enti locali per opere infrastrutturali; i Tremonti- e i Monti-bond erano prestiti per ripatrimonializzare gli istituti).
Anche perché la stessa Fincalabra non sembra scoppiare di salute. La relazione della locale sezione della Corte dei Conti non è proprio elogiativa. È la seconda partecipata della Regione Calabria per massa debitoria (oltre 167 milioni) e i magistrati contabili invitano alla prudenza. Inoltre, i vertici di Fincalabra sono indagati per abuso d’ufficio in merito ad alcune assunzioni «facili» che il Giornale vi aveva già documentato.
Insomma, un investitore pubblico, indebitato e con non tutte le carte in regola è pronto ad affacciarsi nel panorama bancario italiano sia pure a livello locale. Oggi Visco non ne parlerà ma forse rivolgergli una domanda in merito sarebbe d’obbligo.
Wall & Street