Ronaldo, Messi e il capitale umano
Il segreto del successo delle grandi squadre di calcio è nei loro numeri uno. Teoricamente, coloro che volessero costruire una squadra di successo (e avessero i mezzi a disposizione) potrebbero comprare le stelle di un grande team e ottenere un doppio risultato: rafforzare la proprio equipe e indebolire quella avversaria. Proprio per questo motivo, il mondo del calcio ha inventato un deterrente formidabile per blindare i campioni, la cosiddetta clausola rescissoria, ossia un corrispettivo monstre che di solito rende inavvicinabili in partenza i maggiori talenti. Se si volesse rubare Cristiano Ronaldo al Real Madrid, bisognerebbe offrire un miliardo di euro, dopodiché ci si può anche mettere al tavolo per trattare. Per la Pulce del Barcellona, il grande Leo Messi, basta un quarto: 250 milioni. Ci avevano gli sceicchi del Paris Saint Germain, ma Messi non ha nessuna voglia di andare a giocare in un campionato meno prestigioso come quello francese.
Nel mondo del lavoro reale, è molto più difficile trattenere le superstar. I manager e gli alti dirigenti vengono remunerati in maniera paragonabile a quella dei big dello sport e firmano clausole di non concorrenza, cioè se dovessero abbandonare per un qualsiasi motivo la loro azienda, non potrebbero passare a una concorrente (operante nello steso settore) se non dopo un predeterminato periodo di tempo. In questo modo si cerca di salvaguardare un patrimonio di know-how. I talenti delle industrie, però, non sono solo le punte di diamante, ma anche i faticatori di centrocampo, chi fa «una vita da mediano», come cantava Ligabue. Gente preziosa, che costa meno ma che ha nel cervello un grande patrimonio. Per loro non ci sono maxiclausole. Ma per il capitale umano c’è la tutela del diritto. Ecco perché abbiamo parlato di concorrenza sleale e storno di dipendenti (ossia l’iniziativa mediante la quale un imprenditore tende ad assicurarsi le prestazioni lavorative normalmente di natura professionale qualificata di uno o più dipendenti di una impresa concorrente) con l’avvocato specializzato nella tutela della proprietà intellettuale, Claudio Gandini.
«Gli imprenditori avvertono spesso intorno a sé la minaccia della concorrenza sleale, ma talvolta si sentono impotenti. In un recente caso, la Corte Suprema di Cassazione ha riconosciuto la concorrenza sleale nell’acquisizione, tramite storno di dipendenti, di notizie riservate riguardanti un’impresa concorrente. Infatti, a seguito del trasferimento di un dipendente, un’impresa di gelati, operante sul territorio dell’Unione Europea, aveva acquisito informazioni riservate su prodotti, fornitori e metodi di lavoro. Successive ricerche condotte in Germania avevano consentito di trovare prodotti del tutto simili a quelli dell’impresa italiana dalla quale proveniva il dipendente stornato. L’acquisizione, tramite storno di dipendenti, di notizie riservate di pertinenza di un’impresa concorrente, ha consentito di risparmiare sul costo dell’investimento in ricerca, ha alterato la correttezza della competizione ed è stata punita».
«Gli imprenditori e i manager talvolta avvertono che alla correttezza dei propri comportamenti non corrisponde altrettanta correttezza da parte di un’impresa concorrente. Vorrebbero opporsi a questa situazione che li danneggia, ma sono frenati dalla sfiducia generalizzata di ottenere in tempi celeri giustizia. In verità, è possibile ottenere giustizia a condizione che si individui in termini esatti la disciplina della concorrenza sleale. Essa riguarda la concorrenza fra imprenditori non necessariamente operanti allo stesso livello economico o esercenti la stessa attività, essendo sufficiente che le rispettive attività si rivolgano alla medesima categoria di consumatori. Inoltre, può non riguardare solo gli imprenditori. Non possiamo dimenticarci infatti che la concorrenza sleale può aversi anche fra produttore e distributore, fra grossista e dettagliante».
Quando esistono le prove, è facile opporsi ed ottenere giustizia. Ma quali sono le condizioni perché si possa configurare un reato di concorrenza sleale? Un atto di concorrenza sleale può essere configurato solo ove vi sia una clientela comune. Per poter parlare di comunanza di clientela è sufficiente che più imprenditori esercitino la stessa attività industriale o commerciale in un ambito territoriale comune. Perché si verifichi la concorrenza sleale, basta un solo atto, non ne sono necessari molti. Anzi, possiamo dire di più. L’atto di concorrenza sleale viene represso in funzione della sua volontà di raggiungere determinati effetti e di creare un danno. L’atto di concorrenza sleale deve, in quanto tale, togliere ad un concorrente uno spazio di mercato. Lo storno di dipendenti, vale a dire l’assunzione di dipendenti di un concorrente, è illecito quando si desume che l’obiettivo dell’imprenditore concorrente è, attraverso il passaggio di dipendenti, vanificare gli sforzi di investimento del suo antagonista. Mi spiego meglio: è la volontà di diminuire l’efficienza dell’impresa del concorrente l’elemento che porta a ravvisare la contrarietà ai principi di correttezza professionale, con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere».
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