Intercettazione

È vero: i compiti dei servizi di intelligence prevedono che gli Stati, al fine di tutelare la sicurezza interna, finiscano con lo spiare un po’ tutti, anche i loro amici, come hanno fatto gli Stati Uniti con Silvio Berlusconi. Ora sta alla sensibilità di ciascuno di noi stabilire se questo possa essere in qualche modo legittimo oppure no. Di sicuro incontrerà minor gradimento il fatto che siamo tutti potenzialmente spiati. Ve lo abbiamo già detto attraverso i numerosi post di Alessandro Curioni sulla cybersecurity, ora ve lo spieghiamo anche attraverso un ‘analisi di tipo giuridico realizzata da Claudio Gandini, avvocato specializzato nella tutela della proprietà intellettuale.

 

gandini 2Un cittadino austriaco, iscritto a Facebook dal 2008, ha messo in dubbio il trasferimento dei dati immessi sul social network su server situati negli Stati Uniti dove sono oggetto di trattamento. Poiché è la filiale irlandese della società creata da Mark Zuckerberg a occuparsi dello storage, il cittadino austriaco ha presentato una denuncia presso l’autorità irlandese di controllo ritenendo che, alla luce delle rivelazioni fatte nel 2013 da Edward Snowden in merito alle attività dei servizi di intelligence negli Stati Uniti (in particolare della National Security Agency, o «NSA»), il diritto e le prassi statunitensi non offrano una tutela adeguata contro la sorveglianza svolta dalle autorità pubbliche sui dati trasferiti verso tale paese. L’autorità irlandese ha respinto la denuncia, segnatamente con la motivazione che, in una decisione del 26 luglio 20002, la Commissione Ue ha ritenuto che, nel contesto del cosiddetto regime di «approdo sicuro» (Safe Harbor), gli Stati Uniti garantiscano un livello adeguato di protezione dei dati personali trasferiti. La questione non si è fermata al primo scoglio ed è giunta alla High Court of Ireland (Alta Corte di giustizia irlandese) che ha rinviato il caso alla Corte di Giustizia Ue del Lussemburgo chiedendo se la decisione della Commissione potesse impedire ad un’autorità nazionale di controllo di indagare.

Maximilian SchremsLa Corte ha così dato ragione al simpatico Maximilian Schrems, questo il nome del giovane ricorrente austriaco, stabilendo che «l’esistenza di una decisione della Commissione che dichiara che un paese terzo garantisce un livello di protezione adeguato dei dati personali trasferiti non può sopprimere e neppure ridurre i poteri di cui dispongono le autorità nazionali di controllo in forza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Il diritto alla protezione dei dati personali è garantito dalla Carta. Quindi, sottolinea Gandini, «la Commissione non aveva la competenza di limitare in tal modo i poteri delle autorità nazionali di controllo». L’autorità irlandese di controllo è pertanto tenuta a esaminare la denuncia di Schrems con tutta la diligenza necessaria e a essa spetta decidere se, in forza della direttiva, occorre sospendere il trasferimento dei dati degli iscritti europei a Facebook verso gli Stati Uniti. Per la Corte di Giustizia attivata dal cittadino austriaco, infatti, la Commissione non indagò sulla prassi e sulle leggi americane. «In linea di massima il sistema Ue e quello americano riconoscono il rispetto assoluto della privacy dei cittadini. In Europa questo limite può essere superato dalla magistratura, mentre negli Usa la legge consente poteri amplissimi all’equivalente dei nostri servizi segreti. La Corte di Giustizia ha stabilito che il cittadino può far ricorso ai Tribunali del suo Stato per chiedere che venga rifiutato il trasferimento dei suoi dati in paesi che non abbiano la stessa garanzia di privacy prevista in Europa», conclude Gandini. Non siamo, pertanto, del tutto indifesi di fronte alla violazione della nostra privacy.

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