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I dati 2015 dell’Osservatorio sulla Salute delle Regioni ci hanno allarmato: l’aspettativa di vita in Italia è calata sebbene si mantenga sui livelli più elevati in ambito Ocse. Tra le cause di morte, rilevate sulla base delle statistiche del 2012, le più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore, responsabili da sole di 75.098 morti (poco più del 12% del totale dei decessi). Seguono le malattie cerebrovascolari (61.255 morti, pari a quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore non di origine ischemica (48.384 morti, pari a circa l’8% del totale).

Walter Ricciardi«Il calo è generalizzato per tutte le regioni», ha spiegato Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio, individuando subito la principale causa di questi risultati. «Siamo il fanalino di coda nella prevenzione nel mondo, e questo ha un peso». Ecco perché l’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) ha deciso di dedicare la Giornata mondiale per la salute e della sicurezza sul lavoro allo stress causato dal lavoro che è tra le principali cause delle malattie sopra descritte. «Con il ritmo di lavoro dettato dalle comunicazioni in tempo reale e gli alti livelli di concorrenza, la frontiera tra lavoro e vita privata diventa sempre più difficile da identificare», sostiene l’Ilo sottolineando che «a causa dell’attuale recessione economica, la salute mentale e il benessere dei lavoratori sono messi a repentaglio dalla diminuzione delle opportunità lavorative, dalla paura di perdere il posto e, ovviamente, dalla disoccupazione».

Se a questo aggiungiamo che i budget pubblici tagliano sempre più le spese per la sanità, è indubbio che siano i privati e le aziende a doversi fare carico di questa importante parte delle politiche di welfare. Secondo l’indagine Staying@Work condotta dalla società di consulenza Willis Towers Watson (un campione di 1.700 persone in 34 Paesi), le tre questioni che maggiormente preoccupano i datori di lavoro in Italia sono:

  1. stress dei dipendenti (53%)
  2. obesità (47%)
  3. assenteismo (44%).

Non c’è da meravigliarsi considerato che gli italiani sono obesi fin da bambini. Secondo il rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, che contiene dati raccolti nel 2013-2014 su ragazze e ragazzi di 11, 13 e 15 anni, più del 30% degli undicenni e dei tredicenni maschi italiani è sovrappeso o obeso, un dato che cala, ma rimane sopra il 25%, per i quindicenni. Numeri ancora più preoccupanti si trovano per i tassi di attività fisica, che ci vedono ultimi assoluti sia a 11 anni che a 13. Anche l’assenteismo è un vizio italico, ma per quello l’unica cura è penalizzare i furbetti con il licenziamento.

Le aziende, evidenzia la ricerca, hanno già dato inizio ad una serie di programmi, tra cui: assessment dei rischi legati alla salute (67%), training in azienda per uno stile di vita sano (59%), ambulatori clinici in azienda o nelle vicinanze (50%) e supporto alla maternità (50%). Ma l’adesione dei dipendenti a questi programmi aziendali legati alla salute rimane bassa: nell’ultimo anno, infatti, solo il 50% ha partecipato alle attività benessere o ai programmi di management focalizzati sul tema salute. Il 47% dei datori di lavoro italiani ritiene che la mancanza di budget e di staff, così come gli insufficienti incentivi finanziari (38%), stiano ostacolando il proprio approccio nei confronti della salute e della produttività della propria forza lavoro. Questo nonostante la maggioranza – il 79% – consideri importanti i miglioramenti in tema di salute per la produttività delle proprie aziende.

De SpirtInsomma, siamo stressati perché non abbiamo lavoro o abbiamo paura di perderlo e di immiserirci. Mangiamo male anche perché tutto ciò che nuoce alla salute dal punto di vista alimentare è meno caro di ciò che ci giova. E, soprattutto, non controlliamo adeguatamente il nostro stato di salute anche per risparmiare e le aziende, a volte, non hanno risorse sufficienti per sopperire alle necessità dei dipendenti e migliorare così la produttività. Secondo Guido De Spirt, country manager Italia di Willis Towers Watson, «i rischi connessi alla salute possono avere un effetto negativo profondo e duraturo sia nelle prestazioni individuali che in quelle aziendali». I datori di lavoro, aggiunge, che adottano una strategia di insieme per la salute e la produttività, «hanno maggiori possibilità di successo rispetto a quelli che, invece, decidono di impiegare un approccio dispersivo, offrendo solo programmi individuali e disconnessi».

Secondo lo studio, infatti, la larga maggioranza dei datori di lavoro italiani (l’89%) prevede che il proprio impegno nei programmi legati alla salute e alla produttività aumenterà nei prossimi tre anni, nonostante oltre la metà (il 63%) non abbia ancora adottato una strategia. Se proprio vogliamo trovare un’ulteriore morale di questa storia, possiamo aggiungere maliziosamente che lo Stato, troppo spendaccione con le pensioni, non ha soldi a sufficienza per la medicina preventiva. E le aziende, se non vogliono avere a che fare con una pattuglia di dipendenti invalidi, dovranno in qualche modo farsene carico.

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