Quel miliardo non dovuto per Imu e Tasi
Quasi un miliardo di euro di Imu e Tasi che i contribuenti, anche quelli in condizioni economiche non floridissime potrebbero risparmiarsi. È questo, secondo quanto calcolato da Wall & Street, ciò che lo Stato preleva ai possessori di un’unica abitazione nella quale, però, non risiedono e diventando, pertanto, soggetti all’Imposta municipale unica e alla tassa sui servizi indivisibili. Una prima casa, per essere considerata tale, non deve essere solo la prima a essere acquistata in ordine di tempo, ma anche quella in cui si ha sia la residenza che la dimora abituale.
Un’ingiustizia che colpisce soprattutto una delle componenti più deboli della popolazione, ossia i proprietari di una casa (magari ereditata) che risiedono altrove per motivi di lavoro. Impiegati, dipendenti delle forze dell’ordine, insegnanti, infermieri, operai: gente costretta alla mobilità territoriale. Giusto per dare un’idea del fenomeno: nel 2015 sono stati oltre un milione gli italiani che sono emigrati dal proprio Comune di residenza. Di questi 140mila circa sono andati all’estero (Germania, Gran Bretagna e Francia le destinazioni principe) e oltre 40mila si sono spostati dal Sud al Nord. Il fenomeno progressivamente si rafforza: basti pensare che l’anagrafe degli italiani all’estero è passata da 3 a 4,8 milioni di iscritti negli ultimi dieci anni.
Tutti costoro, se proprietari immobiliari, sono tenuti al pagamento di Tasi e Imu. Questa patrimoniale colpisce circa 32 milioni di contribuenti con reddito annuo lordo compreso tra zero e 26mila euro. Se l’immobile è ampio e la rendita è magari elevata, il Fisco non fa differenza tra un impiegato e un manager, tra il signor Rossi e John Elkann. L’esenzione Imu e Tasi vale solo se possesso e residenza coincidono: punto e basta.
Ma come si è arrivati a individuare questi maltrattati dal fisco? Poiché i dati dell’Agenzia delle Entrate non contengono distinzioni, il dato di partenza è rappresentato dai circa 5,4 milioni di immobili «a disposizione» censiti. Con quel termine si indicano le caratteristiche seconde case: non affittate ma disponibili peri periodi di vacanza e quant’altro. Secondo un sondaggio Re/Max, il 33% dei proprietari di seconde case ha acquistato in località di vacanza. Indi per cui dal novero sarebbero da escludere circa 1,8 milioni di abitazioni. Ai quali si aggiungono le case disponibili per la vendita e per l’affitto. Poiché le compravendite sono circa 450mila all’anno e i tempi medi per concludere un affare sono di nove mesi, è ipotizzabile uno stock di invenduto di 337mila unità. Idem per l’affitto (1,5 milioni di nuovi contratti conclusi ogni anno e sei mesi di media per locare un immobile) con uno stock stimato in 750mila unità.
Un ulteriore elemento da tenere in conto è l’affitto temporaneo (spesso non dichiarato) a studenti. I fuori sede in Italia sono circa 600mila poiché il risparmio è la bussola dei giovani universitari, è lecito pensare che circa 200mila appartamenti siano interessati da questo mercato. Arrotondando i circa 2,6 milioni di unità immobiliari rimaste in base a concentrazione della ricchezza immobiliare e a fenomeni come il nero, emerge che i proprietari di prima casa non residenti siano tra gli 1,5 e i 2 milioni. In base a questa stima, essi dovrebbero versare tra i 700 milioni e il miliardo di Imu e Tasi. Estendendo il discorso anche agli immobili di proprietà di imprese e società finanziarie, il gruppo potrebbe estendersi fino a sfiorare i 3 milioni di unità considerato che sono 8,6 milioni nel complesso gli immobili nei quali nessuno ha stabilito la propria residenza. Il saldo, in questo modo, potrebbe sfiorare il miliardo e mezzo.
«Si tratta di un trattamento fiscale iniquo», commenta Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, l’associazione della proprietà immobiliare. «È un’iniquità che si aggiunge al prelievo Imu e Tasi sugli immobili locati come abitazione principale perché si aggiunge un’altra patrimoniale oltre al prelievo Irpef sul reddito da locazione».
E così le vittime dell’articolo 43 comma 2 del codice civile («La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale») il prossimo 16 giugno saranno costrette a versare l’acconto di Imu e Tasi perché ai fini fiscali l’unica abitazione di proprietà è un bene che produce reddito anche se non ve se ne trae nessun giovamento.
Wall & Street